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Emma Marinoni

What was I made for?

Poor Things è un film che sembra apparentemente semplice da leggere in un’ottica di genere - la grande storia dell’emancipazione di una donna dagli uomini nella sua vita. Eppure la scelta di un personaggio femminile per una storia di questo tipo cela al suo interno una serie di meccanismi impliciti nella nostra visione del genere donna - e implica la necessità di considerare il genere tra le variabili di una possibile lettura critica.




In Three Women’s Texts and a Critique to Imperialism (1985), l’accademica indiana Gayatri Spivak analizza tra diversi romanzi anche Frankenstein di Mary Shelley, concentrandosi in particolare sul momento in cui la creatura chiede a Victor Frankenstein di creargli una compagna. Spivak definisce Victor come un personaggio in competizione non solo con Dio in quanto creatore, ma anche con la donna in quanto procreatrice: per Victor, memore delle disgrazie avvenute in seguito alla riuscita del suo primo esperimento, creare una creatura femminile è molto più pericoloso, dal momento che darebbe alla coppia di mostri la possibilità di riprodursi e diffondersi sulla terra. Spivak inoltre sottolinea che nella descrizione del romanzo la creatura femminile, quando è ancora solo in fase di “costruzione”, non è percepita come un corpo la cui morte precedente viene ri-animata (come avviene con la creatura iniziale), ma sembra essere già dotata di un’esistenza precedente, che è Frankenstein stesso a negare quando decide in definitiva di abbandonare il progetto:


“The remains of the half-finished creature, whom I had destroyed, lay scattered on the floor, and I almost felt as if I had mangled the living flesh of a human being.”

Frankenstein, p. 163, ed. Bantam Classics, 1981


Dato che la connessione tra Frankenstein e Poor Things risulta evidente, penso che la lettura di Spivak possa costituire uno spunto utile da cui partire nel cercare di applicare la categoria di genere al secondo.

Partendo da una componente puramente biologica, è fin da subito chiaro che il corpo di Bella sia ascrivibile alla categoria del sesso femminile. Il fatto che si tratti di questo tipo specifico di corpo non solo implica la sua futura caratterizzazione di genere, ma anche la sua partecipazione nel processo creativo: Bella è una creazione di Godwin ma anche di sé stessa, dal momento che il cervello che è ospitato nel suo cranio è a tutti gli effetti una produzione biologica della sua vita precedente. Se quindi in Frankenstein la potenzialità creativa della donna è talmente minacciosa da negare a priori la sua esistenza, in Poor Things è essa stessa la premessa dell’esistenza di Bella Baxter. Al contrario del corpo di Bella/Victoria, non sappiamo invece a che categoria biologica potremmo ascrivere il sesso del feto che lei aveva in grembo - elemento che esplicita chiaramente come il genere sia un fattore completamente costruito a livello sociale.


Nella prima parte del film, ambientata nella casa di Godwin Baxter a Londra, la dicotomia che viene più frequentemente applicata a Bella non è però quella di uomo/donna ma piuttosto quella di soggetto/oggetto: Godwin non sembra considerare Bella una persona, ma solo ed esclusivamente un oggetto di conoscenza, un esperimento. Tuttavia, in certi momenti l’ambivalenza tra soggetto e oggetto di Bella si intreccia inestricabilmente con il genere femminile: un esempio lampante è la conversazione tra Max McCandles e Godwin riguardante l’amore e il matrimonio, in cui il primo chiede al secondo se non avesse intenzione di crescere Bella come la sua amante - qualificando di nuovo Bella come un oggetto, in questo caso non più di conoscenza ma di piacere. La stessa istituzione del matrimonio - e del contratto che proibisce in tutti i casi a Bella di scappare - mostra il sovrapporsi dei valori scientifici con quelli normativi dal punto di vista del genere: il matrimonio funge da mezzo per il controllo patriarcale da parte di Godwin e McCandles, sebbene il primo definisca la proibizione per contratto di lasciare uscire Bella di casa solamente come un sistema per “controllare le condizioni dell’’esperimento”.

In questo ambiente particolare, in cui Bella oscilla tra una definizione ancora debole di donna e quella appunto di esperimento - seppure esperimento verso cui si possano provare dei sentimenti, come gli animali che popolano il giardino della casa di Baxter - alcune implicite variabili di genere iniziano ad imporsi su di lei. Nonostante l’assenza di socializzazione esterna, uno degli aspetti che la casa di Baxter e la società al di fuori di essa sembrano condividere è la concezione implicita del corpo femminile come materia prima organica da utilizzare a proprio piacimento. Possiamo pensare ad un equivalente maschile di Bella? Si potrebbe argomentare che nella visione di Godwin qualunque corpo, umano o animale, uomo o donna, non possa essere altro che materiale per i suoi esperimenti, ma è particolarmente significativa la successiva creazione di Felicity, un’apparente sostituta di Bella, la cui creazione nasconde un ben più macabro recupero di cadaveri di una giovane donna e di un infante - non esattamente due soggetti predisposti a morte naturale.


La socializzazione nel genere femminile per Bella comincia a tutti gli effetti con l’ingresso nella società vera e propria, ovvero a Lisbona e sulla crociera - e con la comparsa di Duncan Wedderburn. Autoproclamatosi un outsider della polite society, Duncan in realtà è il personaggio che la rappresenta meglio di tutti. L’evadere dalla norma diventa piacevole e rivendicabile quando si stacca dalla morale “vittoriana” riguardante il sesso e le relazioni monogame - del resto, ciò che lo conquista di Bella è soprattutto la sua (infantile) attrazione verso tutti i piaceri primari della vita e la sua indifferenza nei confronti delle apparenze sociali: “You, like me, are a creature of freedom and the moment!” Nonostante ciò, il distacco dalla morale sociale non comporta affatto un distacco dal modello morale di donna in una relazione eteronormativa - quando Bella inizia a concederglisi di meno, l’impossibilità di sottometterla in alcun modo porta Duncan al delirio - tanto che verso la fine del film Bella smette addirittura di essere una donna per lui, e diventa un diavolo, un mostro.


Tuttavia, anche in questa sezione del film la categoria di donna è abbastanza in bilico - certe volte Bella non si comporta in modo “femminile” secondo i dettami dell’epoca, ma la maggior parte dei suoi comportamenti risulterebbe sovversivo per la “polite society” a prescindere dal suo genere - in epoca vittoriana la libertà è impensabile e inerentemente trasgressiva: semplicemente, l’essere donna comporta un’ulteriore aggravante. Ciò che contraddistingue di più qui la soggettività di Bella (e che, in certi casi, la protegge da conseguenze drammatiche) è la sua condizione di classe: è evidente come la maggior parte dei suoi comportamenti risultino più tollerabili all’interno di ambienti ultra borghesi. La scena ambientata ad Alessandria mostra non solamente la sparizione definitiva dell’ingenuità infantile di Bella ma soprattutto lo svilupparsi di una coscienza del proprio privilegio: la bolla intorno a lei si rompe, Bella riconosce che avere il tempo per discutere di come cambiare il mondo è intrinsecamente una forma di privilegio.


L’appropriazione e autoidentificazione nella categoria di donna vera e propria avviene nella parte parigina del film - in un contesto in cui la morale vittoriana sembra pesare meno sulla più libertina società francese. Ad accompagnare questa autodefinizione è sia la prostituzione - in cui Bella performa ripetutamente il genere femminile in tutte le sue varianti perverse possibili - sia la coscienza di appartenere ad una classe diversa: ciò porta Bella a costruire un “soggetto donna” per certi versi conformante all’idea generale del genere femminile, per altri radicalmente esterno a quello di una donna per la società sua contemporanea: indipendente economicamente, frequentante circoli politici e accademici, single o in relazioni affettive con altre donne.

Il ritorno a Londra, e all’ordine, si dimostra una cristallizzazione in ruoli di genere e sociali: il film si mostra più esplicitamente critico (e didascalico) nei confronti della morale vittoriana - il marito di Victoria Blessington, probabilmente una donna molto meno fuori dagli schemi di Bella, rammenta al chirurgo che le praticherà finalmente una clitoridectomia: “This time we will get it done”. Anche qui Bella diventa di nuovo un oggetto, ogni volta diverso in base all’uomo con cui si relaziona: il marito le ribadisce che “unfortunately my darling my life is dedicated to the taking of territory. You are mine and that is the long and short of it.”-  e quindi Bella diventa territorio da conquistare, da difendere e proteggere. Il ritorno all’ordine ha la sua esplicitazione simbolica più evidente nel matrimonio tra McCandles e Bella: in fondo, perché Bella dovrebbe scegliere di sposarsi, se non per ritornare al punto di partenza, ovvero ad una situazione protetta dalla propria classe sociale e lontana dalla morale, come la casa di Godwin? Il cerchio quindi si chiude, la bolla si riforma.

Se tutti i personaggi maschili con cui Bella si relaziona rappresentano diverse figure chiavi della cultura patriarcale (il padre, il fidanzato, il marito, l’amante), ciò che hanno in comune è l’aspirazione al totale controllo di Bella e del suo corpo - alcuni lo fanno tramite la razionalità scientifica, altri tramite i piaceri carnali o pretese sentimentali, altri appellandosi alla morale - e la difficoltà di performare una mascolinità che si prova fragile quando si trova di fronte ad una femminilità fuori dalla norma. Lo schema patriarcale non riesce a ripetersi - dal momento che Bella non ne ha mai subito il totale condizionamento. Bella non è vittoriana, per certi aspetti non è neppure una donna - o meglio, non è una donna nel senso patriarcale del termine, che esiste in quanto funzione (riproduttiva, di piacere) o solamente in relazione a (figlia di, moglie di etc.). Quella di Bella appare come una libera accettazione del proprio essere, una costruzione, o meglio, una “creazione” di un genere possibile al di fuori delle imposizioni sociali.


Emma Marinoni



2. La nascita di una nazione

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