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Emma Marinoni

3. "The work is better when the world informs it"

Killers of the flower moon è anche la storia di oppressione di una minoranza, narrata però dal punto di vista degli oppressori. Scorsese non tenta di vestire panni che non sono i suoi, ma parla all’occidente dal suo interno, dando vita così a una pesante autocritica della Storia americana.


"The work is better when the world informs it"[1]


Sul red carpet della premiere di Killers of the Flower Moon, Christopher Cole, uno dei consulenti di lingua Osage per la produzione, ha esposto all’Hollywood Reporter i suoi pensieri sul film:


“[…] As an Osage, I really wanted this to be from the perspective of Mollie and what her family experienced, but I think it would take an Osage to do that. Martin Scorsese, not being Osage, I think he did a great job representing our people, but this history is being told almost from the perspective of Ernest Burkhart.”[2]


Nella storia del cinema, la narrazione preponderante sui nativi americani è sempre stata portata avanti da persone bianche - sia davanti che dietro la cinepresa. Persino le storie che li vedevano protagonisti venivano raccontate soltanto intorno ad un personaggio bianco – aka white savior. Non c’era nessun interesse da parte delle produzioni nel rappresentarli come soggetti o nel coinvolgere persone native americane in nessun ambito della produzione.


Di fatto, il cinema rimane sempre e comunque un’industria, perciò è abbastanza semplice immaginare come tutte le soggettività altre, che hanno difficoltà ad ottenere uno spazio prima di tutto politico e civile, non trovino i mezzi per proporre una propria rappresentazione autonoma nelle arti.  Il motivo per cui Killers of the Flower Moon costituisce un risultato importante non è solo la storia che si è scelta di raccontare, ma il fatto che per la prima volta un blockbuster ha deciso di coinvolgere una minoranza nella sua rappresentazione su tutti i livelli della produzione.


E’ innanzitutto fondamentale sottolineare come il risultato ottenuto dal film non possa essere scisso dalla presenza di un regista come Martin Scorsese, il quale ha potuto avere a disposizione non solo budget elevati ma anche un forte potere decisionale. Alla base della produzione di Killers of the Flower Moon vi è infatti una questione incredibilmente semplice: una volta venuta a conoscenza del progetto di Scorsese, la comunità Osage ha deciso di contattarlo, invitandolo in Oklahoma per un confronto – e Scorsese ha risposto di sì. Questo incontro fra il regista e all’incirca 150 Osage è stato l’inizio di una conversazione e di una collaborazione mai vista prima, che ha convinto Scorsese a posporre l’inizio della produzione per riscrivere la sceneggiatura. Inizialmente infatti il film si sarebbe dovuto incentrare sulla figura di Tom White, investigatore del neonato Federal Bureau of Investigation, e teoricamente interpretato da Di Caprio - successivamente il ruolo, divenuto secondario, andrà a Jesse Plemons. La riscrittura ha invece portato al centro della narrazione Ernest e Mollie Burkhart. Nonostante un ulteriore rinvio della produzione a causa dell’epidemia di Covid-19, il coinvolgimento della comunità è stato continuativo - tanto da istituire un vero e proprio sistema di insegnamento della lingua Osage a tutti gli attori durante il lockdown. In un podcast dello Smithsonian Magazine, James Roan Grey, rappresentante Osage nonché discendente di Henry Roan, una delle vittime di William Hale (il cui omicidio è rappresentato anche nel film) descrive la capillarità di questo coinvolgimento: la comunità ha potuto dare il suo input su tutti gli aspetti della produzione, dalla scenografia al catering. Tutte le comparse erano Osage - così come lo erano gli attrezzisti, gli elettricisti etc.[3]


La storia degli Osage Murders è intrinsecamente violenta, il che costituisce un altro problema dal punto di vista rappresentazionale. Per gli Osage, ciò significa vedere rappresentato non solo la propria storia ma anche le proprie sofferenze. Scorsese ha consapevolmente scelto di non tralasciare le parti violente in modo da attenersi il più possibile ai fatti. D’altra parte, la violenza non è mai stata estranea al suo cinema: tuttavia qui il regista si mostra assolutamente conscio della grande responsabilità che ha sulle spalle - scegliendo fra le altre cose di inserire sé stesso nel finale del film, rimarcando il proprio ruolo (e con esso i suoi doveri).


Infine, un ulteriore ambito della rappresentazione di una minoranza su cui vale la pena riflettere è la sua agency, ovvero la capacità di agire che questa minoranza ha. Non trattandosi di un lavoro di finzione, ma di un vero e proprio avvenimento storico, l’agency attribuita ai personaggi sta sì allo scrittore, ma soprattutto alla Storia. Tuttavia, la scelta di focalizzarsi su determinate soggettività rispetto ad altre pone alcuni problemi: uno già citato è il fatto che la prospettiva principale nel film sia quella di Ernest Burkhart e non di Mollie, e, di conseguenza, che tutti i personaggi Osage, per quanto ben delineati, rimangano sempre secondari e impotenti. Ciò che mi porta a definire queste rappresentazioni come problematiche non è un giudizio negativo, ma piuttosto la loro capacità di costringere lo spettatore a farsi delle domande. Nel riflettere su queste rappresentazioni, è infatti impossibile non prendere in considerazione il pubblico a cui è diretto un film come Killers of the Flower Moon. Per ritornare alle parole di Cole,


"I think in the end, the question that you can be left with is: How long will you be complacent with racism? How long will you go along with something and not say something, not speak up, how long will you be complacent? I think that’s because this film isn’t made for an Osage audience, it was made for everybody, not Osage. For those that have been disenfranchised, they can relate, but for other countries that have their acts and their history of oppression, this is an opportunity for them to ask themselves this question of morality, and that’s how I feel about this film." [4]


Nonostante il film non costituisca una rappresentazione perfetta, non si può negare il fatto che Killers of the Flower Moon costituisca un paradigma con cui chiunque deciderà in futuro di rappresentare minoranze dovrà necessariamente fare i conti.


Emma Marinoni





NOTE


[1] Sharf, Zack, e Andrew Wallenstein. “'Killers of the Flower Moon' Is Far Different From Scorsese's Original Plan — Thanks to the Osage Nation, Says Lily Gladstone.” Variety, 20 Gennaio 2023, https://variety.com/2023/film/news/killers-of-the-flower-moon-osage-nation-changed-scorsese-vision-lily-gladstone-1235496848/.

[2] Chuba, Kirsten, e Tim Chan. “Osage Consultant Admits to Complicated Feelings Over 'Killers of the Flower Moon': “This Film Isn't Made for an Osage Audience.”” The Hollywood Reporter, 17 Ottobre 2023, https://www.hollywoodreporter.com/movies/movie-news/killers-of-the-flower-moon-osage-consultant-mixed-feelings-1235620231/.

[3] Klimek, Chris. “How the Osage Changed Martin Scorsese’s Mind | History.” Smithsonian Magazine, 19 Ottobre 2023, https://www.smithsonianmag.com/history/how-the-osage-changed-martin-scorseses-mind-180983094/.

[4] Chuba, Kirsten, e Tim Chan. “Osage Consultant Admits to Complicated Feelings Over 'Killers of the Flower Moon': “This Film Isn't Made for an Osage Audience.”” The Hollywood Reporter, 17 Ottobre 2023, https://www.hollywoodreporter.com/movies/movie-news/killers-of-the-flower-moon-osage-consultant-mixed-feelings-1235620231/.





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