top of page
zenoprivileggio

Vero viaggio è il ritorno

“I bambini ama­no istintivamente il soprannaturale, perché in un certo senso conoscono i segreti del mondo. Sono gli adulti che li hanno dimenticati.” Nel prisma del mondo bizzarro de Il ragazzo e l’airone, il viaggio di Mahito ci mostra la potenza dell'immaginazione nel percorso verso la maturità. Nell’universo fantastico non bisogna perdersi, ma è fondamentale farlo proprio. Mahito porta via con sè una pietra, per ricordarsene sempre. E noi?


L’ultimo film di Hayao Miyazaki, Il ragazzo e l’airone (Kimi-tachi wa dō ikiru ka, tr. E voi come vivrete?), è un grande inno alla fantasia e alla sua capacità di trasformare chi la attraversa. Mahito, il giovane protagonista, si trova infatti ad affrontare in primo luogo la morte della madre e subito dopo la sostituzione di quest’ultima con la sorella, la quale aspetta anche un nuovo bambino.  L’elaborazione di questi eventi repentini e traumatici non avviene nel mondo reale, ma in una dimensione onirica a cui il ragazzo accede, in cerca proprio di sua zia, grazie, o a causa, dell’incontro con uno strano airone cenerino e con la torre abbandonata del suo misterioso prozio.


Mahito si ritrova immerso in un regno fantastico e caotico, pieno di bizzarre creature e persone provenienti da tempi diversi. Qui, infatti, il ragazzo incontra le versioni giovani di sua madre Hisako, nel ruolo della sacerdotessa Himi, e dell’anziana signora Kiriko, che gli farà da guida nella prima parte del suo viaggio insieme all’uomo-airone. Ma l’incontro che assume più importanza è l’ultimo: quello con il suo prozio. Egli è colui che grazie ai poteri di una strana pietra caduta dal cielo ha creato quella dimensione parallela grazie alla sua immaginazione per poi rifugiarvisi. Giunto al termine della propria vita, la sua preoccupazione più grande è trovare un erede che si prenda cura della sua creazione e tale ruolo è proposto proprio al suo discendente Mahito.

Il ragazzo, per giungere a questo incontro e alla risposta che fornirà al suo prozio, affronta un percorso di maturazione personale. All’inizio del film, Mahito appare brusco, refrattario al dialogo e chiuso in sé stesso, com’è comprensibile nelle sue condizioni. Nel suo viaggio onirico, però, egli mostra progressivamente segni di crescita emotiva: dalla sepoltura di un pellicano morto in segno di rispetto, all’abbraccio alla giovane Kiriko, fino al riconoscere nell’airone cenerino, sua iniziale nemesi, un prezioso amico. Rispetto per i morti, riconoscenza, affetto e fiducia verso gli altri. Mahito riesce ad aprirsi al mondo, alle sue gioie ma anche ai suoi dolori.

Per questo egli decide, infine, di rifiutare un mondo creato ad hoc dal prozio e afferma di voler vivere nel suo presente, affrontando le sfide che avrà davanti e facendosi nuovi amici.

Sembra sussistere qui un’opposizione forte: da un lato il prozio e il suo mondo fantastico, dall’altro Mahito e il mondo reale. Ma è davvero così?


In realtà, come spesso accade, i confini sono labili e sfumati. Se è vero che la dimensione fantastica viene distrutta nel finale, il messaggio del film è lungi da essere un semplice rifiuto di quest’ultima. A tal proposito è affascinante riprendere le parole di una delle scrittrici che più ha influenzato Miyazaki, ovvero Ursula K. Le Guin. Scrittrice di opere fantasy e fantascientifiche come La saga di Terramare o The Dispossessed (I reietti dell’altro pianeta), ella sottolinea spesso il ruolo che la fantasia ha, o dovrebbe avere, nella vita concreta di ognuno. Contro ogni riduzione a forme di escapismo, da una parte, e di infantilismo dall’altra, Le Guin attribuisce all’immaginazione un potere vitale, pedagogico. 


Nel saggio Why Are Americans Afraid of Dragons? (Perché gli americani hanno paura dei draghi?), spiega come, secondo lei, l’immaginazione sia “una delle qualità più profondamente umana e umanitaria [...] e mai, in alcuna circostanza, dobbiamo ridurla al silenzio, schernirla, o insinuare che sia puerile, falsa o non da uomini”. Purtroppo il fantastico e tutto ciò che deriva da esso viene spesso relegato ad una sfera immatura, infantile, che deve essere abbandonata per diventare adulti. Miyazaki stesso, in un’intervista, si dispiace del fatto che i bambini “sono forzati a diventare adulti noiosi”. Ma, come Le Guin scrive, “la maturità non significa superare, ma crescere” e ritiene “che un adulto non sia un bambino che ha cessato di vivere, ma un bambino che è sopravvissuto”. Nel bambino, infatti, sono già presenti “tutte le facoltà migliori dell’essere umano”, tra cui proprio l’immaginazione, che è sano coltivare ed incoraggiare.

Immergersi in un mondo fantastico, che sia creato da un libro, un film, un fumetto, ci permette di compiere un viaggio nell’immaginazione e nel suo potere di farci conoscere nuove realtà, sperimentando idee e sentimenti che, tornati al nostro mondo, potranno aiutarci a vivere in maniera più completa.


Miyazaki, così come Le Guin, non ha fatto che questo durante la sua vita: creare mondi nuovi, in cui le persone potessero trovare qualcosa di speciale, specialmente i più piccoli. Verso questi ultimi va proprio la sua dichiarazione d’amore più grande: “Tutto quello che posso fare è creare film che aiutino i bambini ad essere grati di essere nati”. Mahito stesso rappresenta questo: abbattuto da una vita piena di lutto e di malvagità (concetto che lui stesso assumerà su di sé), ritrova la gratitudine e la forza verso la vita stessa. E questo accade attraverso il viaggio dentro un mondo immaginario, in cui, però, il ragazzo non ritiene giusto rinchiudersi. Il prozio non sbaglia nel creare una dimensione alternativa, ma nel voler un mondo perfetto senza difetti in cui poter rimanere per sempre. In questo modo la fantasia diventa ciò di cui viene accusata: escapismo totale.


Se, come Le Guin scrive in The Dispossessed, “vero viaggio è il ritorno”, Mahito lo comprende perfettamente. È grato della sua avventura, ma sa anche che è giusto tornare nel mondo contraddittorio in cui è nato e in cui decide di voler vivere. Nel farlo compie forse uno dei gesti più significativi dell’intero film, ovvero raccoglie un frammento di pietra magica e se la mette in tasca. Questa sarà il baluardo contro il destino che, a detta dell’airone, è riservato a tutti coloro che ritornano dalla dimensione fantastica, ovvero la perdita di ogni ricordo; l’oblio e la negazione delle esperienze vitali provate grazie all’immaginazione: tutto ciò che, come detto per Le Guin, ma che vale anche per Miyazaki, corrode le persone e le trasforma in adulti che guardano con diffidenza e superiorità le opere fantastiche. Ma per Mahito non sarà così.  La pietra sarà sempre lì a ricordargli del suo viaggio, della sua crescita, e chissà, magari un giorno anche lui creerà qualcosa di nuovo.


A noi, invece, basterà prendere in mano un libro di fiabe della nostra infanzia, un romanzo fantastico letto in adolescenza, o magari un qualsiasi film dello Studio Ghibli, per ricordarci dell’immenso potere che la fantasia ha avuto e continua ad avere su come affrontiamo la vita. 

Per concludere, provare a vivere senza dimenticarci della nostra immaginazione e coltivandola con gli altri, non solo è una possibile risposta all’interrogativo che il titolo originale del film ci pone (e voi come vivrete?), ma è anche la sfida più grande che artisti come Miyazaki e Le Guin ci hanno consegnato e per questo non possiamo che ritenerci immensamente fortunati.


di Enrico Antonini

Comments


bottom of page