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Federico Scarcella

E voi come vivrete?

Miyazaki è anche giustamente ricondotto, quasi la totalità delle volte, alla dimensione del fantastico, dell’incanto. La volontà qui è invece quella di ridare una veste pratica al lavoro di Miyazaki. Con la sua ultima opera il maestro sembra intraprendere un discorso sull’arte e il suo statuto, un discorso tra sé e la sua arte, oltre che sull’arte come ciò che è necessariamente un per altri. 




Il ragazzo e l’airone, è questo il titolo dell’ultima opera di Miyazaki Hayao. Come è noto, questo è il titolo scelto per la distribuzione italiana, nella versione originale troviamo invece: E voi come vivrete? (titolo che riprende il romanzo di Genzaburō Yoshino, regalato a un giovane Miyazaki dalla madre). Il titolo originale assume dunque la forma interrogativa, manifestando una domanda che sembra rintoccare per tutto il film e che sembra quasi comporne l’essenza. Ma, a questo punto, quasi spontaneamente, sorge il quesito: chi è il riferimento di questo voi? A chi si sta rivolgendo Miyazaki?

Se vogliamo cercare di rispondere occorre affrontare l’opera del maestro prendendo una via insolita, un punto di vista che raramente viene affiancato al regista: la dimensione pragmatica. Miyazaki è anche giustamente ricondotto, quasi la totalità delle volte, alla dimensione del fantastico, dell’incanto. La volontà qui è invece quella di ridare una veste pratica al lavoro di Miyazaki. Per il sottoscritto, paradossalmente, quest’ultima opera è estremamente funzionale. Forse è solo una suggestione, ma sembra che in essa Miyazaki voglia intraprendere un discorso sull’arte e il suo statuto e, forse, nel particolare un discorso tra sé e la sua arte, oltre che sull’arte come ciò che è necessariamente un per altri. 

Premessa importante è che per pragmatico non intenderò qui la questione economica e neanche tecnica riguardo all’animazione, quanto piuttosto la strumentalità dell’arte. In breve, sembra quasi che la sua opera cerchi di rientrare, come rimbalzando, nella realtà, per rispondere a un bisogno che è concreto, reale. Torna inesorabilmente nell’ al di qua trasformandosi in strumento.



1.     Verso una lettura del mondo-altro

 L’opera si apre allo spettatore mostrando una Tokyo bombardata (siamo nel 1943) dove il protagonista, Mahito Maki, perde la madre in un incendio; dopo non troppi minuti veniamo tuttavia ricollocati, insieme a Mahito, in un’ambientazione rurale, in una magione, contornata, e quasi dominata, da una folta vegetazione.

Un primo reale contatto con lo strano lo abbiamo con l’airone, fin da subito, ma a piccole dosi, Miyazaki instilla il dubbio in Mahito e a noi con lui. Un airone che si fa via via più grottesco, si deforma man mano che mostra la sua reale natura. Un airone che è ambiguo, doppio, e non a caso è colui che introdurrà in qualche modo Mahito all’altro mondo. Ambiguo perché è duplice, nasconde in sé un ometto burbero, egoista, con un carattere un po' vischioso dotato però di una sua peculiare forma di bontà (di nuovo dualità). La chimera, nel corso dell’opera, profila a Mahito un possibile ricongiungimento con la defunta madre. In questa tentazione serpentesca parla ai desideri più profondi del protagonista che per tutto il film adotterà un atteggiamento estremamente stoico, a-patico, che Miyazaki ci mostra crollare solo grazie a gesti determinati, come l’auto-afflizione di una ferita alla testa, azione di un bambino che si sente in colpa per: la morte della madre? Per non essere riuscita a salvarla? Per il suo destino? Per provare rabbia verso la sorella della madre e suo padre (il padre, nel frattempo, aveva sposato e attendeva un figlio dalla sorella minore della defunta moglie)? Per nascondere le percosse subite a scuola dicendo di essere caduto? Perché pensava di meritare un dolore del genere? Non ho trovato onestamente una sicura risposta. Comunque sia, tornando alla proposta dell’ibrido, la morte è una grande presenza all’interno del film. La prima idea che mi feci all’uscita dalla sala fu proprio quella di una rappresentazione metaforica dell’elaborazione del lutto e della lotta interiore ed esteriore con la “nuova” madre ben rappresentato dalla scena magistrale del loro incontro nella sala del parto nel mondo-altro. Tale percorso di superamento del trauma e di espiazione, iniziato forse con la ferita carnale sopracitata per passare poi a un’espiazione spirituale, trova effettivamente riscontro nelle varie citazioni alla Divina commedia o all’ Isola dei morti di Böcklin. Il percorso, dunque, che si dipana tra mondo reale e mondo-altro sarebbe una metafora del percorso quasi mistico, di ascesi, di un ragazzo distrutto interiormente che affronta i problemi terreni divenuti traumi, ossia interiori, e dunque spirituali, fino a giungere al ricongiungimento con il reale dopo averli affrontati.  Credo che potrebbe essere questo uno dei vari livelli di significato che possiamo attribuire al contenuto dell’opera. Tuttavia, sentivo già che mancasse qualcosa. Il prozio, per esempio, non rientra necessariamente in questa chiave di lettura, suona quasi superfluo.

Perché dunque non ho trovato esaustiva l’idea del percorso “ascetico”? Perché Miyazaki almeno da Si alza il vento ha mostrato esplicitamente un ritorno a sé. Nelle due ultime pellicole il richiamo alla propria biografia è esploso.

Ma perché proprio l’arte (e la sua arte e l’arte per-altri)?  Perché a) Miyazaki è un artista, inscindibile dalla sua arte b) i riferimenti al suo corpus artistico all’interno del mondo-altro sono innumerevoli c) possiamo immaginare che una volta affrontato prettamente se stesso e la sua infanzia nel film precedente, rimanga da affrontare la grande protagonista della sua vita, appunto l’arte d) il riferimento a un erede; riferimento che possiamo pensare come manifestazione animata di un pensiero, che, come è risaputo, da tempo risuona in Miyazaki e che probabilmente ha acquisito maggiore vivacità o ricorrenza dal momento della morte del suo maestro Takahata.

Prima di proseguire è importante riportare un’altra parte di trama: Mahito si inoltra nel bosco dopo aver visto Natsuko ( la sorella della madre) immergervisi, entra dunque nella torre (già svelata in precedenza) che si rivelerà la soglia definitiva per il mondo meta-fisico. Un mondo creato da un prozio materno di Mahito, ora intento a mantenere tale mondo in equilibrio, equilibrio rappresentato da una specie di castello di carta ma composto da blocchi geometrici. Tale prozio è dunque in cerca di un erede per il mantenimento del suo creato e individua Mahito come suo successore. Egli, tuttavia, declina l’offerta tornando nel mondo fisico. Il mondo che viene svelato è un tripudio di forme che continuano a darsi instancabilmente e troviamo in esso, tornando al nostro discorso, un gran numero di auto-referenze. L’idea che porterò avanti qui, quindi, e che ho in parte già svelato, è che la torre possa essere lo studio del maestro o il mezzo concreto, lo strumento artistico, che sia una matita, un foglio, una tela che conduce a un mondo-altro che rappresenterebbe l’arte di Miyazaki, il deposito artistico che è andato accumulandosi durante la sua vita, il suo corpus, o, forse, addirittura l’arte stessa.



2.     Arte, arte di, arte per altri

Possiamo dire dunque, seppur con le dovute cautele, l’opera vista in questo modo diverrebbe, se vogliamo, meta-artistica, concettuale. In tutto questo c’è un piccolo gesto fondamentale ed emblematico che mi ha spinto verso tale lettura (oltre alla ricerca dell’erede): quando Mahito compie la sua scelta tornando nel reale porta con sé un blocchetto di gesso, trovato per terra, appartenente al mondo-altro.Questo gesto potrebbe indicare lo statuto stesso dell’arte (e della sua).Ma prima di tutto cerchiamo di delineare chi rappresenterebbe Mahito. Egli potrebbe essere gli esseri umani, sia artisti che non artisti.

Credo dunque che gli eredi (Mahito), ovvero i possessori di quel tassello siamo noi. Sono i futuri artisti, i futuri Miyazaki, sono coloro che hanno ricevuto l’eredità di un’artista e che non potendo prenderla interamente a carico, ne ricevono un pezzetto. Quel tassello è l’eredità di Miyazaki come artista. È il dono di un artista, ma è anche il dono che un’opera d’arte fa agli spettatori. È l’eredità stessa dell’arte, è simbolo di quel continuo trasferimento verticale ed orizzontale tra le persone. Ognuno di noi è un portato millenario, una cascata, e porta con sé tanti piccoli tasselli che compongono la nostra biografia e verranno a loro volta tramandati, magari rimaneggiati, trasformati.

Quando il prozio propone a Mahito lo scettro da demiurgo, e Mahito rifiuta, dice il prozio, ovviamente parafrasando: sei sicuro di tornare li? Li fuori c’è la guerra, c’è l’orrore. Miyazaki sembra dire la mia arte non ha cambiato nulla, le critiche contro l’inquinamento, la guerra, sono state inutili. Ma, comunque sia la mia arte ha prodotto almeno un blocchetto, poi, tu che lo prendi, fanne ciò che vuoi. Questo pezzetto c’è, ed è inevitabile che fosse il contrario. L’artista, dunque, crea qualcosa nel mondo, fare arte significa oggettivare qualcosa che oggettivo non è: il pensiero. Il tassello è anche questo. Il mondo muta, seppur impercettibilmente, subendo il frutto (oggetto artistico) dell’oggettivazione del soggettivo. Una cristallizzazione del costante mutare dei pensieri. Il mondo non sarà più lo stesso dopo che tale tassello prende forma, c’è qualcosa in più nel mondo, che ne rimarrà inesorabilmente trasformato donando un nuovo appiglio per altri e poi altri e così via.  Ecco perché l’opera potrebbe parlare dell’arte, e insieme della sua arte e dell’arte per noi.

Per quanto riguarda la prima, come si è detto, il tassello si rivela fondamentale, esso starebbe per l’arte che produce qualcosa nel mondo, e questo sia se pensiamo l’opera fisica, ovvero oggettivazione del soggettivo, sia l’effetto in chi la “subisce”. Per quanto minuto il tassello possa essere, esso va a modificarci e tale modifica verrà proiettata nel mondo tramite la nostra esistenza, i nostri gesti, il nostro abitarlo vivere gli altri esseri umani. Questo sia per quanto riguarda i futuri artisti che le persone in generale. L’arte, dunque, irrompe nel mondo modificandolo anche impercettibilmente, sia materialmente che spiritualmente (cioè muta qualcosa nei soggetti e nei contenuti potenzialmente fruibili, nei significati rintracciabili e scovabili nel mondo). In breve, il tassello è la dimensione spirituale che sboccia nel mondo, la concreta sintesi tra reale e immaginario, che può essere identificata sia come l’opera nel mondo, che come l’effetto dell’opera nel mondo.

Per quanto riguarda il secondo punto, torre e mondo-altro starebbero dunque, anche, per la sua arte. Un corpus e un’eredità (in primis il Ghibli) che non può (integralmente), e non è riuscita (pensiamo per esempio a Kondō) , a passare  nelle mani altrui. Tuttavia, pur essendo stata vana nel suo attivismo (il mondo li fuori persiste nelle atrocità) l’arte di Miyazaki ha gettato comunque qualcosa nel mondo, un piccolo tassello, eredità di chiunque voglia utilizzarlo. E dunque Miyazaki, che si chiede chi sarà il suo erede, dona una parte di sé e della sua arte a tutti gli artisti futuri, a chiunque la colga: il tassello c’è, la mia arte è questa, voifatene quello che volete.

Infine, abbiamo l’arte come ciò che è per altri. Quest’ultima voce condensa in qualche modo le precedenti. L’arte è oggettiva, nel senso che oggettivizza il divenire soggettivo, cristallizza la variazione ideale e diventa in questo modo intersoggettiva. Un per tutti. Miyazaki ne è consapevole, e il suo impegno politico è manifesto, anche se velato da metafore in immagine. È un Miyazaki che, consapevole di tale possibilità, è anche conscio, a 83 anni, di tutti i limiti di questa disciplina. Eppure, non può far a meno di reimmergervisi, inevitabilmente parlando agli altri. Abbiamo dunque un Miyazaki disilluso, se vogliamo sconfortato: la sua torre crolla e fuori da essa persevera il male, nonostante la torre stessa. Eppure, nella sua ricerca di un erede, che fallisce miseramente, e nonostante la pressoché totale inutilità della sua arte, una qualche forma di eredità viene creata, un piccolo seme (tassello) sopravvive e si impianterà necessariamente nel mondo. Che poi cosa diventerà tale seme è tutto da scoprire. Dunque, non è un Miyazaki speranzoso quello che abbiamo di fronte, ma neanche irrazionale. È un Miyazaki pragmatico che conosce i limiti della sua arte e ciò che può fare. L’arte è un per altri, e questo è quello che può fare o, perlomeno, che l’arte di Miyazaki, per il maestro stesso, è stata in grado di fare.

A questo punto risulterà chiaro qual è il riferimento del voi presente nel titolo.Quel voi sta per gli artisti futuri, e più in generale per i depositari dell’eredità di Miyazaki, cioè potenzialmente tutti. È un riferimento a noi che siamo andati in sala, a chi ha amato l’opera, a chi l’ha odiata, a chi si è lamentato della cripticità, a chi si è addormentato durante la visione, a chi è tornato bambino, a chi lo è, a chi è un esperto, a chi è stato costretto dagli amici, a chi ne fruirà in futuro. Tutti questi individui sono stati incalzati da Miyazaki, a tutti loro è stata posta la stessa domanda. È come se Miyazaki stesse dicendo la mia torre si sta sgretolando, ma io ho fatto questo, io ho vissuto in questo modo, io vi ho dato questo, e a questo punto voi che ne farete? E a questo punto voi come vivrete?

Federico Scarcella


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