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Emma Marinoni

"Stories like these"

Nell’ultima produzione del regista Todd Haynes, i cui film molto spesso non sono quello che sembrano, il rapporto tra le due protagoniste presenta un’occasione per riflettere sul rapporto ossessivo che abbiamo con la finzione.




Podcast incentrati sulla cronaca nera come Indagini di Stefano Nazzi, Demoni Urbani di Francesco Migliaccio o il canale YouTube Elisa True Crime, solo per citarne alcuni, raggiungono migliaia di ascolti e, nel caso dell’ultima, più di un milione di iscritti. Ogni anno Netflix produce e distribuisce un’enorme quantità di contenuti legati al true crime o ai serial killer. Non ci sono dubbi: dopo aver abbandonato la funzione solamente di cronaca per entrare nel mondo dell’intrattenimento all’inizio degli anni Novanta, il true crime ha visto una costante crescita di popolarità, fino a confermarsi un genere a tutti gli effetti, con la sua nutrita fetta di pubblico. 


All’interno di questo pubblico, soprattutto negli ultimi anni, si è rivelata una netta disparità statistica: più del 75% degli ascolti provengono da donne. Nell’ambito degli studi di genere, specialmente in un contesto di critica letteraria, viene spesso messo l’accento sul legame gender/genre, ovvero sul rapporto tra uno specifico genere letterario e il genere del suo pubblico (nella maggior parte dei casi femminile). Questo concetto viene applicato ad esempio ad alcuni generi letterari considerati “marginali” (come il “romanzo rosa”) o a riletture femministe o women-centered in generi letterari specifici (come, ad esempio, la fantascienza di Octavia E. Butler). Quando parliamo di true crime, la maggior parte dei casi coinvolge uomini sotto tutti gli aspetti (vittima, carnefice, detective etc.): al limite, la prevalenza di donne si ha solo a livello di vittime. Rachel Monroe, nel suo libro “Savage Appetites: Four Stories of Women and true Crime”, riepiloga velocemente alcune tra le più popolari ipotesi riguardanti l’interesse femminile per il true crime: 


“Sometimes women’s attraction to true crime is dismissed as trashy and voyeuristic (because women are vapid!). Sometimes it is unquestioningly celebrated as feminist (because if women like something, then it must be feminist!). And some argue that women read about serial killers to avoid becoming victims. [...] A different, more alarming hypothesis was the one I tended to prefer: perhaps we liked creepy stories because something creepy was in us.” 


All’interno di questo libro, Monroe non si limita a trattare quattro casi di cronaca nera, ma si concentra piuttosto sulle storie di quattro donne ossessionate da essi. Per sottolineare quanto le motivazioni dietro queste ossessioni possano essere diverse, Monroe propone un paradigma di quattro possibili identificazioni tra il pubblico e i ruoli chiave di un qualsiasi caso: detective, vittima, difensore e assassino. Ciò su cui si pone l’accento non è quindi la cronaca nera di per sé ma piuttosto l’aspetto ossessivo nascosto dietro di essa.



Una versione di questa identificazione si può leggere nella premessa di May December di Todd Haynes: una giovane attrice, Elizabeth (Natalie Portman), decide di fare ricerca di persona per il suo prossimo film, basato sulla relazione di Gracie (Julianne Moore) e Joe (Charles Melton), trasferendosi brevemente nella loro città. La vicenda di Gracie e Joe richiama esplicitamente quella di Mary Kay Letourneau, un’insegnante statunitense arrestata nel 1997 all’età di trentaquattro anni per la sua relazione con l’allora dodicenne Vili Fualaau. In carcere, Letourneau partorì il primo dei due figli che avrebbe avuto da Fualaau durante il periodo di detenzione. Dopo la sua scarcerazione definitiva nel 2004, Fualaau, divenuto maggiorenne, revocò il divieto di contatto con lei e i due si sposarono. Il caso ebbe un’attenzione nazionale, vendette migliaia di tabloid, diventò un film per la televisione e due libri. Tuttavia, May December non è un film sul caso Letourneau/Fualaau, ma piuttosto sul nostro relazionarci con esso - e con tutti i casi che gli somigliano. La stessa sceneggiatrice Samy Burch ha definito la vicenda Letourneau/Fualaau solamente come un punto di partenza, definendosi più interessata allo spazio che il caso ha occupato nella memoria collettiva americana che a ciò realmente accaduto. All’interno di May December, l’unica cosa a proporsi come reale adattamento dei fatti è, almeno apparentemente, il film a cui Elizabeth sta lavorando. 


Nel fare ricerca per il proprio futuro ruolo, Elizabeth ha fin da subito la funzione di perfetto stand-in per il pubblico: nella prima scena del film, vediamo l’attrice arrivare ad un barbecue a casa di Gracie e Joe, introducendosi ad una serie di diversi personaggi di cui ancora non sappiamo il vero e proprio ruolo della storia. L’introduzione del personaggio di Gracie agli occhi di Elizabeth è tutt’altro che significativa: indaffarata nel portare torte e organizzare la festa, le prime parole che Gracie rivolge a Elizabeth sono “Just a second”, quasi a mostrare una reticenza nel ritrovarsi ad essere di nuovo protagonista di questa storia. Per la maggior parte del film, tutto ciò che scopriamo sulla vicenda lo scopriamo attraverso Elizabeth, in particolare tramite i suoi incontri con diversi protagonisti dello scandalo oltre a Joe e Gracie, come il proprietario del negozio dove i due sono stati trovati dalla polizia, l’avvocato di Gracie e il suo ex marito. Il suo comportamento è apparentemente motivato dal suo lavoro: conoscere le cause e le conseguenze delle azioni di Gracie, per teoricamente interpretarla meglio. Elizabeth si presenta a casa di Gracie con intenzioni altruiste: il suo obiettivo sembra essere quello di osservare dando il meno fastidio possibile e cercare di carpire le informazioni in modo da poter garantire un ritratto onesto e sincero della vicenda: 


ELIZABETH (CONT’D)

I cannot thank you enough for this-

it’s so generous...

GRACIE

Oh gosh, of course! I want you to

tell the story right, don’t I?

ELIZABETH

That’s all I want. I want you to

feel known and seen-




Elizabeth, chiacchierando con i conoscenti di Gracie e Joe, definisce la propria scelta di interpretare questo ruolo come motivata da un’attrazione verso una “complex, human story”, sottintendendo una totale assenza di giudizio negativo nei confronti della coppia. Tuttavia, con il proseguire del film, Elizabeth passa da essere un’osservatrice inizialmente “oggettiva” ad una nettamente più voyeurista, quasi arrivando ad un livello di feticismo che sotto certi aspetti (come il method acting) può essere considerato tipicamente attoriale. La prima persona a confrontare Elizabeth sulle sue modalità di ricerca è proprio Gracie: alla domanda della prima riguardante il suo attuale rapporto con i figli dal matrimonio precedente, la seconda mette in questione senza mezzi termini la sua rilevanza:


GRACIE

How is that relevant?

ELIZABETH

Um.

GRACIE

My understanding is that the movie

is taking place during 1992 through

1994. Am I wrong? Why would you...

need to know about anything after

that?

Elizabeth looks startled by the shift in tone.

ELIZABETH

Well sometimes things that exist

inside people don’t come to a head

until later... And I’m looking for

the seeds of those things. So... I

feel it’s my job to get to know you

as best I can, holistically, and

part of that is a bit of reverse

engineering, I guess you would say.


E’ impossibile non constatare l’importanza che il concetto di performance ha, su diversi livelli, in May December. Da un lato abbiamo il crearsi di un sottotesto metacinematografico a partire dalla produzione stessa: tutti i personaggi sono ovviamente interpretati da attori, Natalie Portman sta interpretando un’attrice che cerca di capire come interpretare un altro personaggio, a sua volta interpretato da Julianne Moore. Dall’altro, la performance è fondamentale anche a livello diegetico: Elizabeth non recita soltanto quando è di fronte “alla macchina da presa”, ma modifica il suo modo di parlare e la sua attitudine in base alla persona che si trova davanti - principalmente per ottenere le informazioni che desidera. Di fatto, le uniche attestazioni di “recitazione esplicita” da parte sua occorrono alla fine del film. Ma Elizabeth non è l’unica a recitare: anche il suo equivalente “reale”, Gracie, sta costantemente performando un ruolo. Il suo modo di relazionarsi con Elizabeth è completamente diverso rispetto a quello che vediamo nelle scene in cui l’attrice non è presente: Gracie mostra la “migliore” versione di sé stessa, elevandosi a protagonista della propria storia e mostrando di avere il controllo totale della propria narrazione nel suo scegliere di fornire o meno certe informazioni piuttosto che altre.




L’aspetto performativo ritorna anche nel progressivo confondersi tra i due personaggi. Ciò avviene prima superficialmente: Elizabeth, durante la sua permanenza, inizia a imitare sempre più esplicitamente Gracie nel modo di vestire, parlare e truccarsi. Gracie e Elizabeth si rivelano però molto più simili che all’apparenza soprattutto per le loro attitudini manipolatorie. La relazione tra Gracie e Joe è chiaramente sbilanciata, non solo dal punto di vista dell’età ma dal punto di vista emotivo-sentimentale: con lui Gracie si lascia andare a comportamenti infantili, lo ricatta emotivamente e implica la propria innocenza nella storia del loro rapporto. La scena più significativa a riguardo è il confronto tra i due alla fine del film - nonché uno dei pochi momenti in cui il dialogo ricalca direttamente la coppia originale Letourneau-Fualaau: 


GRACIE

You seduced me.

JOE

But I was thirteen years old.

GRACIE

Don’t give me that.

JOE

But I was.

He shakes his head, confused, trying to work it all out.

GRACIE

I don’t care how old you were. Who

was in charge?

JOE

What?

GRACIE

Who was the boss? Who was in

charge? Who was in charge?


Il comportamento di Elizabeth è chiaramente meno insidioso (e non penalmente perseguibile): ciò che fa il film è esplicitare l’aspetto invasivo di qualunque tipo di rappresentazione. Una volta messo a confronto con esso, la prospettiva del pubblico nei confronti di Elizabeth inizia lentamente a cambiare: una cesura può essere individuata nella scena nel magazzino del negozio di animali, in cui Elizabeth chiede al proprietario del negozio di farle vedere il magazzino, un posto particolarmente importante per la storia di Gracie e Joe dal momento che si tratta del luogo dove si sono conosciuti (e successivamente dove stati scoperti) e, una volta rimasta sola, simula il loro rapporto sessuale. E’ significativo inoltre che la scena immediatamente successiva sia uno dei primi incontri tra Joe ed Elizabeth senza la supervisione di Gracie - la tensione tra i due è palpabile, ogni atteggiamento di Elizabeth pare calcolato in termini di seduzione. 


La figura di Elizabeth mostra quindi due meccanismi all’opera: da una parte un’estrema identificazione (del resto, si tratta della sua professione), dall’altra, la tendenza a narrativizzare qualunque cosa, trasformando persone in personaggi. La dissociazione fra personaggio di una storia e persona reale risulta evidente nelle parole di Elizabeth quando viene invitata per una lezione di recitazione da una classe delle superiori locali – in cui è presente Mary, una dei figli di Gracie e Joe.


ELIZABETH

When I’m lucky enough to choose,

I’m looking for characters that may

be difficult on the surface to

understand. I want to take a person

and try to figure out-- Why are

they like this? Were they born or

made? And that could really run the

gamut, you know, from the more

notorious, uh...

(unconsciously motions

slightly to Mary)

To just anyone. 

Mary is frozen, clenched. 

MARY

Why would you want to play someone

who you think has done something

bad?

ELIZABETH

Are you kidding? I mean, pick a

great role.


La dualità tra i personaggi di Elizabeth e Gracie viene ribadita anche a livello stilistico soprattutto dalla presenza di specchi. In una scena, le vediamo trasformarsi l’una nell’altra di fronte allo specchio: Elizabeth non solo si fa truccare da Gracie, ma per una volta è lei a rispondere alle domande dell’altra. Tuttavia, uno specchio può anche fornire un’immagine distorta della realtà, o addirittura creare una situazione in cui realtà e finzione diventano indistinguibili: questo è il percorso del personaggio di Elizabeth, per la quale le persone che incontra non sono nient’altro personaggi di una storia accattivante. La sua seduzione nei confronti di Joe, oltre che il risultato di identificazione con Gracie, è solo uno strumento per ottenere quello che vuole: anche durante la scena di sesso tra i due, Elizabeth sembra provare più piacere nei confronti della lettera che Joe le ha portato che nei suoi. Alcuni sono in controllo della propria narrazione, come Gracie, altri sono soltanto vittima di essa, come Joe: mentre Gracie non si fa problemi a smentire completamente il dettaglio “fittizio” sulla sua vita (ovvero  l’essere stata vittima di abusi da parte dei suoi fratelli maggiori durante l’infanzia), assunto come vero da Elizabeth dal momento che si dimostra sensato nella costruzione narrativa del personaggio, Joe è vittima sia degli eventi che della versione dei fatti che viene raccontata.


ELIZABETH

Look, you’re gonna do what you’re

gonna do, but stories like these--

JOE

Stories?

ELIZABETH

You know what I mean, “instances”

of severely... traumatic--

JOE

This isn’t a story-- this is my

life.


Alla fine Elizabeth si dimostra, nonostante tutto, uno stand-in per il pubblico, non solo nel rappresentare la nostra ossessione per le storie che ci turbano, ma anche nel nostro dimenticare che spesso esse accadono a persone, non personaggi. E, come succede nella maggior parte di queste storie, le vittime non mancano mai.


Di Emma Marinoni


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