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Andrea Sciplino

Le eroine di Hayao Miyazaki

Esiste un fil rouge che lega le protagoniste femminili di Miyazaki nella prima parte della sua carriera, un archetipo, le cui caratteristiche uniscono tutte le sue prime eroine, da Lana a San.



Si è parlato a lungo, e si parla tuttora, di come uno dei punti cardine della poetica di Miyazaki sia l’attenzione al femminile, soprattutto in contrapposizione alla visione delle donne che il mondo dell’intrattenimento giapponese ha per molto tempo (e in parte ancora oggi) propugnato. Come altri elementi poetici, quali l’amore per l’ambiente e il pacifismo, la presenza di personaggi femminili di spicco è ricorrente in tutte le opere del regista, cinematografiche o meno.


In particolare, si può individuare un fil rouge che lega le protagoniste femminili di Miyazaki nella prima parte della sua carriera, ossia dalla fine degli anni Settanta e fino al 1997, quando il regista annunciò per la prima volta il suo ritiro. Seguendo tale filo rosso, si può ricostruire un archetipo le cui caratteristiche uniscono tutte le sue eroine, da Lana a San. Negli anni successivi Miyazaki, il quale si è rimangiato più di una volta la parola sul suo ritiro per via dell’incapacità dello Studio Ghibli di creare una nuova generazione di cineasti di successo, ha partecipato a progetti sempre più eterogenei e distanti temporalmente gli uni dagli altri, le cui protagoniste sono difficilmente inseribili in categorie temporali precise.


Facendo una sintesi, la giovane protagonista femminile delineata tra il ’78 e il ‘97 si presenta nella preadolescenza o direttamente nella pubertà. È un personaggio che incarna un’ideale di purezza e gentilezza, a suo malgrado catapultata in un mondo disincantato e cinico in cui deve trovare la sua strada. In tale archetipo convivono la malinconia e la gioia. Nonostante a prima vista possa sembrare un personaggio inerte, la protagonista miyazakiana – pur risultando talvolta angelica – non è assolutamente passiva, ma anzi spiccatamente volenterosa, propositiva, e piena di spirito di sacrificio, non esitando a combattere per ciò in cui crede.

Nel corso della trama, la protagonista deve relazionarsi con un’altra figura femminile, più matura, che concorre nel suo sviluppo personale. Spesso tale figura non rappresenta un modello morale (sia per la società in cui vive, sia per i protagonisti), e talvolta rappresenta addirittura l’antagonista della storia. In altri casi, la contrapposizione è quasi solo formale e i due personaggi non interagiscono direttamente. Altro tratto caratteristico di questa “antitesi” femminile è l’indipendenza ed autosufficienza, vera o pretesa, che invece manca alla protagonista o è da lei ricercata. Il contatto con la protagonista generalmente porta alla redenzione della figura antitetica (laddove incarni un ruolo negativo) o quantomeno ad una moderazione delle sue intenzioni.



Una malinconica stella del crepuscolo (1978-88)

Nell’arco di quasi vent’anni, l’archetipo miyazakiano della protagonista femminile s’è sviluppato in una decina di incarnazioni. In questo ventennio si possono distinguere due fasi seguendo grossomodo i due decenni (1978-88 e 1988-95).

Nel primo decennio la protagonista femminile ha un’impostazione più malinconica e ideale: ella è la custode (consapevole o meno) di una conoscenza antica o di un potere ultraterreno e ha una marcata capacità redentrice. Quest’ultimo aspetto, a livello cinematografico, è evidente fin da subito con Clarisse in Lupin III – Il castello di Cagliostro (1979), la quale, in un chiasmo, è sia salvatrice moralmente di Lupin, sia salvata fisicamente da quest’ultimo.

Inoltre, in questo primo decennio tale archetipo viene calato quasi sempre in un mondo crepuscolare, sonnolento memore di un’antica e gloriosa civiltà o direttamente vòlto al declino inesorabile dopo una tremenda catastrofe. In tal senso, si può tracciare una linea che parte da Lana, in Conan, il ragazzo del futuro (serie TMS del 1978), passa per Nausicaä in Nausicaä della Valle del Vento (1984) e Sheeta in Laputa – castello nel cielo (1986) e termina con Nadia de Il mistero della pietra azzurra (serie del 1990-91). Lana e Sheeta, i più affini tra i personaggi succitati, vengono fin da subito dipinte come elementi alieni alla quotidianità irrompendo improvvisamente o dal mare o dal cielo e conservano nel corso della trama una vena superficiale di malinconia, dovuta alle conoscenze di cui si fanno carico, e nel profondo la gioia data dall’essere ancora ragazzine, la quale emerge grazie all’interazione col protagonista maschile. Ciò è riscontrabile anche Nadia, seppur declinato in maniera differente, dal momento che la serie di cui è protagonista, pur derivando da un’idea di Miyazaki, venne diretta da Hideaki Annō, il quale diede al personaggio un carattere più disinvolto ed estroverso, seppur con una profonda inquietudine.

Nuasicaä, poi, è – per usare le parole di Miyazaki - “un personaggio che vive su un altro piano dimensionale.[1]”  Ella espande a tal punto il carattere salvifico da diventare una figura soteriologica in senso stretto, facendosi speranza del mondo straziato dai sette giorni di fuoco. Parlando di lei – forse il personaggio femminile più iconico del regista prima dell’uscita de La Principessa Mononoke – il regista disse che inevitabilmente avrebbe dovuto essere una ragazza, dato che incarna qualità – a suo dire – spiccatamente femminili, come la comprensione e il perdono.

 


Cocciute stacanoviste (1988-95)

Dopo un gruppo di personaggi femminili affini, il 1988 segna una nuova fase per le eroine miyazakiane. La loro figura diventa meno idealizzata e viene enfatizzato l’orgoglio all’interno del loro carattere, il quale spesso si manifesta nella cocciutaggine e maschera una più profonda insicurezza, mentre il contatto con la magia o il mistero viene ridotto sensibilmente e le sfide assumono una dimensione ordinaria. Ne è un primo esempio Satsuki ne Il mio vicino Totoro(1988). Ella è nient’altro che una bambina, che, dietro un carattere estroverso, deve vivere nel difficile ruolo di sorella maggiore e madre putativa, e per buona parte del film è ingenuamente convinta di poter reggere tale fardello, fin quando l’improvviso peggioramento delle condizioni della madre le gettano in un momento di disperazione tanto fanciullesca quanto catartico.

In questo periodo, inoltre, viene enfatizzato lo spirito operoso delle protagoniste: esempi emblematici sono Kiki in Kiki – Consegne a domicilio (1989)e Fio in Porco Rosso (1992). Entrambe riprendono uno stilema della fase precedente – rispettivamente il potere sovrannaturale e la capacità salvifica –, tuttavia lo pongono su un piano meno drammatico e decisamente comune.

A chiudere la seconda fase v’è Shizuku de I sospiri del mio cuore (1995), film diretto da Yoshifumi Kondō con sceneggiatura e storyboard di Miyazaki. Pur incarnando in linea di massima gli stereotipi dell’eroina miyazakiana, la ragazzina – a detta del produttore storico dello Studio Ghibli Toshio Suzuki – fu particolarmente apprezzata dal pubblico per il modo in cui ne venivano declinate la serietà e mestizia. Questo approccio, da alcuni considerato inusuale in confronto alle precedenti produzioni Ghibli in cui aveva partecipato Miyazaki, fu frutto delle dure lotte tra quest’ultimo e Kondō, il quale si discostò da quanto mostrato negli storyboard, laddove Shizuku dipinta come un personaggio più allegro e maldestro[2].

 

La sintesi in San (1997)

Il personaggio di San ne La Principessa Mononoke (1997) può rappresentare la sintesi di quanto visto nelle due fasi precedenti.

Il film, che doveva chiudere la carriera di regista di un Miyazaki ormai esausto, vede come protagonista femminile la principessa spettro, personaggio avvolto dalla leggenda ed una delle ultime speranze dell’antico mondo dei numi naturali in declino dinnanzi all’avanzare della tecnica. Al contrario delle eroine della prima fase, San non è, a prima vista, un personaggio angelico: ella è testardamente legata ai pregiudizî inculcatile dalla madre-lupo Moro e dagli altri spiriti della foresta ed animata a tal punto dall’odio per l’uomo da non esitare a votarsi al massacro pur di portare con sé il nemico. Nel suo fanatismo e cinismo di facciale ricorda più antagoniste come Kushama in Nausicaä o Monsley in Conan. Sotto tale scorza conserva l’insicurezza tipica del secondo periodo ed un’innocenza con cui non riesce a fare i conti per buona parte della pellicola, crescendo psicologicamente grazie al dialogo col protagonista maschile.

Con questa sintesi si chiude la catena di eroine partita con Lana. Con l’arrivo di Chihiro-Sen de La città incantata, l’archetipo miyazakiano iniziò ad incarnarsi in maniera discontinua, impedendo raggruppamenti tematici individuabili in passato.


[1] McCarthy, Miyazaki: Master of Japanese Animation (1999), p. 79

[2] Toshio Suzuki, I genî dello Studio Ghibli, p. 120

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