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Jacopo Zambelli

L'analisi sociale per assurdo

Sta all’uomo dar ragione della sua esistenza? Sta al creato, oppure al creatore? «Would you rather be a grey slab of flesh?» chiede il Padre alla sua povera creatura: «I am finding being alive fascinating so I will forgive you for the act». La risposta riposa in queste parole, circolarmente, come un seme nel suo frutto.




Bella è, soprattutto, un esperimento. La stessa presenza di Max McCandles nella vita dei Baxter è dovuta ad una funzione prettamente sperimentale, la registrazione di dati empirici. L’attività è condotta con rigorosa attenzione, attenendosi al principio fondante delle scienze sperimentali: isolare e misurare le condizioni variabili e non variabili, comparare i risultati attesi ai risultati ottenuti. Per quale ragione il Dottor Baxter salva ciò che poi sarà Bella? In fondo, desidera aumentare la conoscenza che gli uomini hanno del mondo, con un intento genuinamente benefico. Il presupposto è evidentemente positivista, prospettiva dominante nel mondo anglosassone d’epoca vittoriana. Le scienze empiriche, senza alcun dubbio, hanno affermato la loro validità e continuano a dimostrare la loro efficacia nel risolvere i problemi pratici che l’uomo affronta nel vivere; le criticità emergono, tuttavia, quando questo metodo analitico viene declinato nelle scienze umane.


Le difficoltà si manifestano chiaramente nel rapporto tra Bella e il padre. Alla bambina viene categoricamente impedito di uscire dalla casa, più un setting sperimentale che un’abitazione, ed esplorare il mondo. Il contatto con l’esterno inquinerebbe, infatti, irrimediabilmente l’annotazione dei dati che condizionano lo sviluppo fisiologico e cognitivo di Bella. L’infinità di stimoli e interferenze che abitano l’ambiente in cui viviamo, nella sua totalità, non permettono di riconoscere quale particolare variabile esterna abbia influito al mutare di una particolare variabile interna. Baxter, reticente, acconsente infine ad una breve uscita; ma sceglie a questo fine l’ambiente meno invasivo e complesso, da una prospettiva sperimentale, a disposizione: una radura immersa in un bosco. Le sue riserve risultano evidenti quando, nel momento in cui si avvicinano – per giunta disinteressate – a loro un gruppo di persone, ordina di tornare a casa, interrompendo bruscamente il picnic.


Il buon senso sembra rimpossessarsi di Baxter con il suo beneplacito all’avventura di Bella con Duncan Wedderburn, uomo poco affidabile e chiaramente interessato solo alla carne della figlia. Il dottore espone le ragioni della sua complicità nella fuga di Bella a McCandles, promesso sposo: «She is a being of free will». Sembra maturare una coscienza scientifica della sostanziale differenza di genere tra la pratica delle scienze naturali e quella delle scienze umane; sembra. Pochi istanti dopo, con lo scopo di lenire la rabbia del proprio assistente, Godwin tuona: «We are men of science, this emotionality is unseemly». Un passo in avanti, un passo indietro. La fallace convinzione di poter controllare ogni variabile del complesso vivere di una persona è riaffermata con il secondo progetto di sperimentazione umana: Felicity. Discutendo con McCandles della situazione della nuova donna-neonata, Baxter dice di non voler commettere lo stesso errore che tanta sofferenza aveva portato nel suo cuore malato: bisogna negare ogni genere di attaccamento affettivo e sentimentale a Felicity.


È l’esasperazione di un vero e proprio errore logico. Trascurando l’impossibilità di individuare e misurare con precisione e ordine un dominio umano, di misura variabile, uno studio sociale rigidamente scientifico non può ritenersi valido senza riconoscere l’interferenza propriamente umana del conduttore dell’esperimento nei confronti dello stesso. Se, per assurdo, fosse possibile avere a disposizione anche i dati relativi al rapporto tra autore dell’esperimento e il campo d’analisi dell’esperimento stesso, essi non sarebbero, in ogni caso, finiti; vi è un regresso all’infinito nel tentativo di conoscere, esaustivamente e scientificamente, il rapporto tra osservatore e osservato. Con ogni osservazione è originato un nuovo indicatore di osservazione, e ogni indicatore di osservazione necessita di una nuova osservazione. Un esperimento sociale (che possa esistere qualcosa del genere) potrebbe essere significativo solamente se condotto in una dimensione olistica. Bella Baxter è un esperimento sociale, e come tale non può essere approcciato dal suo autore, suo padre. Questa la ragione del dramma vissuto da Godwin: egli non riesce a trattare la figlia senza affetto, ma nel farlo deve rinunciare alla sua ragione di vita, a ciò che ha giustificato tutta la sofferenza causatagli dal padre, alla sublimazione etica e ideale dei suoi dolori, a un sogno di un mondo migliore; non può, dunque, più provare affetto, la scienza trionfa.

In Poor Things, Yorgos Lanthimos inscena la tracotanza della scienza, dura e pura. Questa linea d’interpretazione si cala in un ambiente assurdo, costruito da regista e colleghi al fine di coadiuvare la percezione di dissonanza tra l’età mentale e quella biologica di Bella: una Lisbona pittoresca attraversata da tram volanti, un battello in stile Liberty e impressioni miyazakiane che esala fumi verdi, disegni per cieli, musiche claudicanti, abiti vittoriani con la mini-gonna, tecnologie incredibilmente sofisticate per scopi incredibilmente futili. Questo tratto d’assurdo è forse ciò che lega ogni opera di Lanthimos, dal suo esordio nella forma del lungometraggio – e soprattutto fino a ciò che, di lui, ho visto. La sensazione di straniamento, declinata in varie forme lungo uno spettro che va dalla fiaba alla distopia, è indice di un peculiare atteggiamento verso la dimensione politica, del reale e, di conseguenza, del rappresentato. I tempi dei progetti sociali olistici, delle ideologie onnicomprensive sono terminati con la loro catastrofica confutazione: l’interesse verso l’analisi sociale ha quindi assunto conformazioni differenti. L’attenzione relativa alla sfera comunitaria non è mai stata il prodotto di una mera curiosità riguardo ai fenomeni sociali, ma piuttosto il sintomo di un’urgenza di ricostruire un mondo che provoca insoddisfazioni e ingiustizie. Lanthimos tenta di ribaltare la direzione dell’analisi, attraverso un metodo più simile alla dimostrazione per assurdo che alla teorizzazione e tecnologia sociale. Come uno scienziato, isola un determinato aspetto del comportamento umano, e dunque sociale, e ne esaspera le caratteristiche fino all’assurdo.


In Dogtooth è il caso della menzogna, come schema comunicativo, in The Lobster l’oggetto è il rapporto sentimentale, la monogamia come istituto relazionale, in The Killing of the Sacred Deer è il sacrificio come pattern comportamentale e, infine, in The Favourite la brama di potere. Poor Things, seguendo questa tesi, risulta più difficile da inquadrare in una interpretazione univoca: ricerca dell’identità, armonia e funzionalità del binomio mente-corpo, rapporto con la propria sessualità e moralità. La conformazione particolare che assumono questi oggetti di ricerca e attenzione creativa facilita uno sguardo analitico, come le tecniche di marcatura in ambito medico permettono l’individuazione e osservazione di elementi determinati. L’esacerbazione singolare attiva, poi, un processo di cosmogenesi che sconfina oltre lo schermo, stimola l’immaginazione a costruire un sistema di norme che rendano coerente e credibile il peculiare assurdo che caratterizza la messa in scena.


Riconosco in questa operazione tipica dell’arte di Lanthimos una tendenza generale a limitare il dominio di interesse politico a singole situazioni; è maturata una consapevolezza pietrificante della complessità della società contemporanea, apparentemente immune a tentativi di riduzione ideologica e analitica. Ne sono esempi altri prodotti della cinematografia recente, figli di autori che forse nulla hanno in comune con Lanthimos: Bones and all (2022) di Luca Guadagnino applica la stessa intuizione al tema dell’accettazione e metabolizzazione, esistenziale e sociale, della propria identità – discriminata o meno. Il cannibalismo è il proprio quid, il proprio orientamento sessuale, la propria identità di genere, di gruppo. Tale discorso può essere condotto, in qualche misura, anche a riguardo di Midsommar (2019) di Ari Aster: il tradimento, l’adulterio e l’intero campo semantico della fiducia, sono immersi in un ambiente surreale e suggestivo. La progressione della pura dinamica adultera è calata in una dimensione allegorica e tragica, che esacerba l’intima relazione che ogni persona vive con il concetto e l’atto di tradimento.

L’arte ha, forse, ora una particolare difficoltà ad abbracciare la politica; e l’assurdo diventa analisi sociale.


Jacopo Zambelli



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