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zenoprivileggio

6. Profondità - Tuffarsi nel cinema

Alcuni film li vediamo una volta, alcuni due volte, alcuni li vediamo e rivediamo senza mai stancarci. Ma cosa fa di un film un bel film? Alcune note su “Killers of the flower moon”, un buon film che, forse, manca di qualcosa.


“Che ore saranno?” Nel buio della sala all’improvviso si fa avanti il nostro dubbio, e mentre ci chiediamo se accendere o meno il telefono per controllare (disturberà il vicino?), il film – non ancora giunto al termine – ha già pronunciato la propria condanna. Forse ci ha annoiato, forse era troppo lento, o troppo sciocco… insomma, qualcosa non è andato per il verso giusto. “Non era male”, diremo fuori dalla sala, un po’ rintontiti e con una gamba ancora formicolante – “anche se poteva durare meno”. Killers of the flower moon “non era male”: è un film ricco di temi, tecnicamente perfetto, persino profondo per un certo verso. E tuttavia non è a mio avviso un film ben riuscito, è un film che alla fine lascia nello spettatore la sensazione di aver visto qualcosa di noioso, o di scontato.

Ma perché? In fondo, si tratta di un film ben fatto, ottimo regista, ottimi attori… È davvero la durata eccessiva? O è forse colpa nostra? Abbiamo forse a che fare con un problema del grande pubblico, ormai disabituato a film “seri” e lunghi? Un grande pubblico che ha abbassato la soglia di attenzione e non è più in grado di cogliere la bellezza di film come Killers of the flower moon? Io non credo.

Direi piuttosto che Killers of the flower moon è un film che manca di qualcosa, che finisce per soffrire di una certa bidimensionalità, non riuscendo davvero a coinvolgerci. È un film che scorre piatto davanti ai nostri occhi, e in qualche modo riesce ad annoiarci. È forse la trama troppo prevedibile? O il ritmo ripetitivo con cui la storia procede[1]? Certo può essere che questo influisca, ma di per sé la prevedibilità non è un fattore negativo. Spesso proviamo un discreto piacere nell’intuire la direzione che la storia sta prendendo, nel capire dove ci staportando il regista, spesso vediamo un film più volte, e con piacere, pur conoscendone già lo sviluppo.

Cosa manca allora a questo film, che sulla carta potrebbe essere un gran bel film? Credo che nel caso di Killers of the flower moon si tratti di una domanda rilevante, proprio perché si tratta di un film che, seppur ben fatto, continua a mancare di qualcosa. E il sospetto è che sia proprio questo “qualcosa” ciò che davvero non dovrebbe mancare a un bel film.

Killers of the flower moon, potremmo dire, manca di profondità. Profondità, ovvero quella dimensione che si sviluppa appena sotto allo scorrere delle immagini, sotto al mero susseguirsi di eventi nella storia, e che tiene insieme i vari aspetti della narrazione in un tutto coerente.Conviene fare però fare subito una precisazione. Forse scontata ma, io credo, necessaria, per lo meno in questo contesto. Parlare di profondità in questo modo può risultare piuttosto ambiguo: spesso con questo termine ci si riferisce alla ricchezza e alla complessità tematica, al fantomatico “messaggio”, e spesso si tende a giudicare i film su questa base. Quanti più temi – meglio se problematici e attuali – tanto migliore il film (ed è così finiamo per veder lodati, se non premiati, tutta una serie di film mediocri, ma “ricchi di temi” “con un messaggio profondo e attuale”, film alti, intellettuali, impegnati”).

Ecco, non vorrei sostenere questo. E non solo perché sono convinto che la ricchezza tematica, o il famoso “messaggio” non salveranno un film mediocre dalla sua mediocrità (anzi, spesso lo peggiorano), ma soprattutto perché sarebbe stupido attaccare Killers of the flower moon su questo punto. Dal punto di vista della ricchezza tematica Killers of the flower moon è un film che si difende bene: pensiamo a come viene trattato il tema della responsabilità individuale in un contesto profondamente malvagio, o pensiamo al ruolo di Mollie, immobile di fronte a questa malvagità, come se fosse l’unica alternativa possibile alla violenza in un mondo essenzialmente violento, o ancora alla riflessione sulle radici dell’etica americana; tutti temi interessanti e profondi che Scorsese lascia trasparire sulla scena. E, va riconosciuto, lo fa anche molto bene. Tutto questo però non basta.

Che cosa è dunque questa “profondità” che ci aspetteremmo da un bel film, e in che cosa consiste? Che cosa dovremmo suggerire al regista alle prese col suo capolavoro? Che cosa cercare? Che cosa rifuggire? Si potrebbe rispondere a questa domanda partendo dall’alto, inquadrare il prodotto cinematografico nel suo contesto umano, definirne il ruolo che dovrebbe o non dovrebbe avere – educare, riflettere, intrattenere, distrarre – e da lì procedere a chiarire ciò che davvero un film dovrebbe fare. È questo, credo, l’approccio sotteso a molte delle critiche cinematografiche d’oggi, soprattutto quelle rivolte al grande pubblico: “il tal film non condanna abbastanza questo e quell’altro comportamento dunque, non è un buon film” o ancora “il tal film sfiora il tal tema ma non lo approfondisce come la nostra attualità richiederebbe dunque non è un buon film” e via dicendo.

Io penso che non sia il giusto approccio. Piuttosto credo che per capire il bello cinematografico, la profondità di una bella pellicola, si dovrebbe partire dal basso, da ciò che lo spettatore prova, da come un film riesca a muovere lo spettatore, i suoi sentimenti, i suoi pensieri. Il che non significa chiudersi in un intimismo dei gusti, in una qualche forma di relativismo estetico tutto interno, ma piuttosto considerare il film alla luce del rapporto oggettivo che riesce a instaurare con lo spettatore[2].

Che forma debba avere questo rapporto, e quale sia la ricetta per ottenerlo non è cosa che tratteremo qui. Possiamo però per lo meno accennare a una serie di indizi, che a mio avviso sono buoni indicatori del fatto che un film abbia colto nel segno.

Un film deve essere innanzitutto avvincente, non solo “non deve essere noioso” ma deve in qualche modo darci l’energia di vederlo, e non semplicemente far leva sul fatto che ormai, un po’ per inerzia, un po’ per curiosità, un po’ perché abbiamo pagato il biglietto, vogliamo per lo meno sapere come va a finire. Un buon test, da questo punto di vista, è il test del romanzo: avrei letto questa storia se fosse stata un romanzo? Ora sono qui in poltrona, e l’unico sforzo che devo fare è restare sveglio per un paio d’ore, ma se dovessi leggerla, farei lo sforzo di leggerla? Io probabilmente Killers of the Flower Moon l’avrei lasciato alla terza pagina.

Questo ha forse qualcosa a che vedere con la possibilità di immedesimarci, col fatto che un film (ma una narrazione in generale) deve poterci commuovere (nel suo senso letterale), dobbiamo poter empatizzare, sentire insieme. Un buon film ci fa emozionare, ci fa ridere, ci fa piangere (secondo indizio). Ci fa entrare nella storia a tal punto che quando finisce ci spiace, la fine di quella storia che ormai era diventata un po’ nostra ci lascia con una sensazione di vuoto (a chi non è mai capitato di innamorarsi di questo o quel personaggio, per poi restare interdetti e un po’ storditi nel vederlo svanire tra i titoli di coda), la stessa sensazione di chi svegliatosi da un sogno, deve tornare con i piedi per terra, nella propria realtà noiosa e angusta. È in quei momenti che sperimentiamo qualcosa di strano, per un attimo sembra quasi che il film e la nostra vita possano sovrapporsi, che l’uno parli dell’altra. Come se il film contenesse una qualche verità segreta sul nostro mondo. Ed è forse questa la cosa più importante: abbiamo la sensazione, guardando un bel film, di scoprire qualcosa, qualcosa che forse abbiamo sempre saputo, e che ci riguarda. Ed è per questo forse (terzo indizio) che un bel film si lascia guardare due, tre, molte volte, senza mai annoiarci.

Io Killers of the flower moon l’ho visto due volte, forse troppe. Davvero, si tratta di un film ben fatto, un film che parla di molte cose, e lo fa bene; eppure un film dove questo semplicemente non basta. Insomma Killers of the flower moon è forse un film su cui fare delle belle discussioni, vero, eppure a me sul momento, durante la proiezione, nel buio della sala, il dubbio mi è venuto.

Erano le 22.37.


Zeno Privileggio




NOTE


[1] Quando, dopo due ore e mezza di film, vediamo De Niro dietro le sbarre giocare perl’ennesima volta a Dr. Jekill e Mr. Hyde siamo semplicemente stufi di vedere per l’ennesimavolta quella parte un po’ scontata e stereotipata.

[2] È evidente che questo non significa che un film possa essere assolutamente bello in tutti i tempi e in tutti luoghi. Al variare del pubblico variano anche le possibilità di instaurare un certo rapporto piuttosto che un altro. Che un film riesca a muovere in un certo modo gli spettatori d’oggi non garantisce che lo potrà fare un domani.È però indicativo che certe opere, certe narrazioni riescano a muovere il proprio pubblico anche a distanza di molti anni. Credo che ciò si debba alla capacità di alcune narrazioni di rivolgersi alle corde più profonde, al lato semplicemente umano, del pubblico, solo poi caratterizzato da una certa contingenza socioculturale (non è un caso che le storie antiche che ancora consideriamo belle facciano leva su sentimenti umani quasi primordiali: amore, odio, vendetta, potere, nostalgia…).

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