top of page
Andrea Randisi

7. L'importanza di (non) scegliere

La storia di Ernest è una storia di errori, di scelte mai compiute e di azioni difficili. Egli è una collezione di aspetti negativi, una antologia di cose odiabili senza possibilità di redenzione, che però ci permette di gettare uno sguardo su quella strana capacità di sbagliare tipica degli umani.


Le storie degli umani sono piene di traditori (Et tu, Brute), deboli (codardi), bugiardi, invidiosi. È per altro vero che i narratori, gente riconosciuta per la loro pietà nei confronti del pubblico, ci risparmiano la fatica di vedere tutte queste categorie in un personaggio solo. Anzi, spesso proviamo fascino nei confronti di questi personaggi perché non sono solo traditori, codardi, bugiardi e invidiosi. Il Bruto di William Shakespeare è un traditore - e questo non glielo toglie nessuno - ma è anche un difensore dei valori della res publica romana; nel suo tradimento è tanto fedele ai suoi valori da far sembrare Marco Antonio, che del Giulio Cesare dovrebbe essere il protagonista, un lecchino del defunto dictator. Ulisse, il più grande bugiardo, usa l'inganno per arrivare alla sua amata Penelope e alla sua petrosa Itaca. Insomma, come quell'amico che è un po' tirchio ma glielo si perdona, perché alla fine ci è molto simpatico: una macchiolina scura che però dà un po' di colore al tutto. Martin Scorsese - uno di quei narratori che si è guadagnato una certa pazienza da parte del pubblico - con Killers of the Flower Moon questa fatica non ce l'ha risparmiata proprio per niente: Ernest Burkhart, il nostro protagonista, è una collezione di aspetti negativi, un'antologia di cose odiabili, senza possibilità di redenzione. Qualcuno dei miei amici e colleghi lo hanno avvicinato a Ulrich, protagonista de L'uomo senza qualità, ma io non l'ho mai letto; pertanto, mi limito soltanto a riportare che Burkhart non solo è un uomo senza qualità, ma un uomo che annovera quasi tutto ciò che evitiamo dei nostri simili. Ciò che trovo però interessante e paradigmatico di un personaggio tanto disprezzabile è come, in realtà, nella sua negatività abissale, ci permetta di gettare uno sguardo all'interno di ciò che accade quando ci troviamo davanti a quella strana capacità di sbagliare tipica degli umani.  

 

La storia di Ernest Burkhart è una storia di errori, ovvero di scelte mai compiute e di azioni difficili. Perché? E in che modo un'azione può essere difficile, al netto di una scelta inesistente? Io credo che per comprendere il personaggio di Burkhart non solo sia necessario scomodare la nozione di "dilemma morale" (con la quale si intende una situazione che pretende una scelta fra due, o più, corsi d'azione che implicano il tradimento di valori morali differenti), ma che sia importante parlare di "sistemi morali"[1]. Con sistema morale intendo qui l'insieme delle regole morali, dei "dovresti fare" e "dovresti essere", che un dato agente deve seguire se, fra i tanti, appartiene ad un dato gruppo (per esempio un'organizzazione religiosa) o ricopre un dato ruolo. I sistemi morali, in questo senso, sono un gioco di aspettative altrui e aspettative interiorizzate: gli altri si aspettano da me x perché sono y e io farò x, perché sono y. Un buon esempio di questo è quanto accade in un esercito: un soldato deve obbedire al suo superiore in quanto soldato (ruolo) e in quanto parte di un gruppo (di un esercito). Un soldato non sceglie, in questo senso, di obbedire ad un superiore ogni volta che gli viene dato un ordine, altrimenti sarebbe un cattivo soldato. La fedeltà al suo abito, in questo senso, compie la scelta per lui.

 

In che modo questi due modelli possono aiutarci a comprendere cosa accade davanti ai nostri occhi in Killers of the Flower Moon? Ernest Burkhart è costantemente teso fra due sistemi morali: quello della famiglia, il quale richiede che lui non avveleni sua moglie (una richiesta non particolarmente pretenziosa), e quello del capitalismo[2], che pretende l'esatto contrario, ovvero che sua moglie muoia perché i suoi beni finiscano nelle sue mani. Si può veramente dire che Ernest scelga, fedelmente e ciecamente, una delle due possibilità? Come il soldato, Ernest non sceglie mai: è dentro i suoi abiti da accumulatore. Possiamo pacificamente dire che Ernest sembra mosso da qualcosa di esterno. Ciò che è esterno sono i precetti dello zio, che sono i precetti di un sistema morale intero, cucito sulla pelle di tutto un intorno sociale: accumulazione del profitto col minimo sforzo possibile. Questi precetti muovono il nostro protagonista in modo automatico: una volta indossato l'abito del profitto, Ernest Burkhart non riesce mai a indossare quello di marito. E allora non sceglie. Ma perché dico che non sceglie? Qualcuno potrebbe obiettarmi: tutte le volte che riempie l'insulina di veleno, non sta scegliendo di farlo? Senza per forza accettare una filosofia morale di stampo kantiano, che di scelta non ne vede manco l'ombra, il concetto di sistema morale riduce il concetto di scelta in uno spazio minimo e accidentale. Piuttosto centrale è però la "fedeltà" nei confronti degli abiti morali[3]: possiamo non scegliere i nostri abiti morali, ma scegliamo di essere fedeli nei confronti di chi siamo. Posso scegliere di diventare professore e questo implica che dovrò essere, nei miei atti, fedele all'abito di professore (essere corretto nelle valutazioni, preparare le lezioni al meglio, etc.); però, ad esempio, non scelgo di essere un figlio (che implica diversi atti codificati, o "aspettati", come la cura dei genitori anziani). La scelta o la non-scelta degli abiti morali non implica l'assenza di biasimo: un cattivo figlio, anche se non ha scelto di esserlo, sarà comunque un cattivo figlio qualora non fosse fedele agli atti che gli altri si aspettano da lui. Ernest, in questo senso, non ha scelto niente: gli è stato affibbiato il ruolo di accumulatore (dallo zio o dall'intorno sociale, il film è qui vago), così come King lo ha "obbligato" a diventare marito. Da qui proviene la vera tragedia di Ernest Burkhart: da due fedeltà differenti che si contraddicono, non dalle sue scelte. La fedeltà che prevale è quella più immediata, quella che qualora non ci fosse porterebbe alla sua morte e alla caduta di tutto il suo sistema di vita: la fedeltà al denaro, all'accumulazione, quindi a quel William "King" Hale che abita in lui.

 

Che ci trovo nella tragedia di Killers of the Flower Moon? Una tragedia della ripetizione dell'uguale. Una tragedia che ci dice che traditori, deboli, bugiardi e invidiosi si trovano in un tunnel che non gli permette da uscire da loro stessi e da ciò che sono. Che i nostri errori sono tutti una questione di fedeltà a ciò che siamo, a prescindere da ciò che scegliamo di essere. Che i nostri errori, quando reiterati e incomprensibili come quelli di Ernest, non sono segno di una particolare schizofrenia morale, di cecità, di ignoranza: sono un particolare segno di devozione non verso le nostre scelte, ma a noi stessi.


Andrea Randisi



NOTE


[1] Per chi volesse approfondire questo termine poco frequente nel dibattito morale italiano: https://sites.stedwards.edu/ursery/class-resources/what-is-a-moral-system/.

[2] Una sola nota per dire che quando ho scelto di usare questo termine ho veramente fatto fatica, dato che è ormai veramente abusato; ci tengo a precisare che nell'usarlo intenderei un po' da quell'immagine di Cosa, à la Mark Fisher, come qualcosa di superiore alle nostre teste e alla nostra volontà, illeggibile e incomprensibile, ma per riallacciarla a un sistema morale storicamente esistito in cui si compiono, o non si compiono, delle scelte ben precise.

[3] Per chi volesse approfondire, qualcosa di affine a quanto dico qui può trovare in Raz, Joseph (1986). The Morality of Freedom. Oxford, GB: Oxford University Press, Ch. 9.

 

8. La banalità dell'amore

La fredda consapevolezza del disegno di Hale  e il puro sentimento di Ernest per la moglie sono binari che non possono intersecarsi senza...

Comments


bottom of page