top of page
Jacopo Zambelli

8. La banalità dell'amore

La fredda consapevolezza del disegno di Hale  e il puro sentimento di Ernest per la moglie sono binari che non possono intersecarsi senza incidenti. Quanto banale il suo amore, con quale banalità è partorito dall’odio. Impossibile, ad ogni modo, non chiamarlo col suo nome.


«Era parte del piano che lei conoscesse e sposasse Molly Kyle?» Alla destra delle labbra di Ernest la carne si contorce, trema. Il fiato si fa aspettare: «No. Ho conosciuto e sposato mia moglie perchè le diedi un passaggio con il mio taxi». L’accusa insiste: «Non l’ha sposata perchè suo zio l’ha indirizzata a farlo?» «No signore» continua Ernest annegando lo sguardo dentro Molly «amo mia moglie, perchè questo è ciò che è successo quando l’ho fatta salire su quel taxi».


Ernest Burkhart torna nella contea di Osage ancora in abiti militari, con lo stomaco «scoppiato» e un problema d’alcolismo. Nell’accoglierlo, lo zio «King» Hale, dopo qualche parola d’occasione, sembra interessarsi semplicemente al suo aspetto estetico e al suo gusto per le donne. Nessuno offre al giovane veterano la possibilità di raccontare la sua storia, di raccontarsi: la sofferenza è tacita, non si scioglie tra le parole. Inascoltato, Ernest veste i panni ricamati per lui dallo zio e, lentamente, diventa un uomo senza storia. Scemano le sue peculiarità, le sue istanze di vita, a favore di quell’avido e ragionato progetto di sterminio intessuto da Hale: Ernest diviene ciò che deve essere.


Il piano di Hale non può che svilupparsi dal matrimonio tra il nipote e Molly, canale privilegiato per avvelenare e prosciugare la ricca famiglia Osage. Ernest viene quindi incoraggiato a corteggiare Molly, ed egli esegue. Eppure, la manipolazione dello zio ha un effetto differente nel rapporto intimo, diretto e isolato che Ernest instaura con la moglie: l’amore lo illude di essere libero, di essere agente come gli altri nella farsa della sua vita. I sentimenti che coltiva per Molly sono reali, sono suoi – sono forse tutto ciò che di davvero suo egli possiede. La fredda consapevolezza del disegno di Hale e il puro sentimento per la moglie sono binari che non possono intersecarsi senza incidenti; quasi che convivano in lui due forme di vita contradditorie, che la sua vita sia un ossimoro. In fondo non può accettare che Molly e l’amore che vive per lei siano commensurabili agli omicidi delle sorelle, che la più profonda intimità sia anch’essa volontà dello zio, che, infine, non ci sia mai stato alcuno spazio di autonomia. E' questa la tragedia, questo il conflitto tra la Moira «King» Hale e l’illusione di libertà che il sentimento d’amore nutre; tra l’ineluttabile svolgimento del destino – il «non c’è nulla da fare» di Hale rispetto alle condizioni di salute della moglie – e il «mio amore solo mio», che Ernest custodisce come una reliquia.


Nei momenti di più acuta tensione, in cui l’equilibrio dà ragione della sua virtù e si fa rimpiangere, si presenta sulla scena una mosca. Ronza sul viso di Ernest. Lui, nervoso, si colpisce per ucciderla: Molly stremata sul letto affonda il capo nel cuscino dopo l’ennesima iniezione – il momento in cui si condensa ripetutamente la natura dolorosa della narrazione – gli occhi chiusi, sembra abbandonarlo lì, sul ciglio del letto; costretto in piedi da ore, in una piccola e anonima stanza del commissariato, gli agenti del Bureau of Investigation spingono Ernest a confessare. Sono istantanee del conflitto, gli attimi che precedono la prospettiva d’insieme, la convergenza, da cui emerge la responsabilità, il giudizio, lo sgretolamento dell’inconsistente identità di Ernest. La mosca sente che l’uomo sta per spogliarsi, ne percepisce gli odori profondi che il suo corpo emana. Annuncia pericolo, spinge a reagire. La notte seguente Ernest versa un po’ del veleno che somministrava a Molly nel suo whiskey, in ultimo, le salva la vita (forse l’unica forma che la redenzione può assumere in lui); confessa agli agenti per la prima volta la sua storia.


«Hai detto tutta la verità?» «Sì, tutta. Il mio animo è pulito ora Molly». Silenzio. «Che cosa mi iniettavi?» «Cosa?» La moglie offre al marito il suo ultimo sguardo. Non è a fuoco. «Cosa c’era dentro quelle siringhe? La medicina che mi davi, che cos’era veramente?» Ernest, o ciò che di lui rimane, sa che non può rispondere altrimenti, perché di lui qualcosa rimanga. «Insulina». Non può ammettere, nemmeno a se stesso, che la sua vita sia a tal punto viziata, a tal punto costruita, da non essere sua. E' riuscito ad avvelenare la moglie, ma non può avvelenarne l’idea. La sfera degli affetti è isolata dal mondo, dagli affetti stessi, dai figli – amore che si fa corpo – cui il padre stava per privare della madre. La contaminazione è ormai annichilimento e, infine, Ernest decide di vivere. Un uomo senza definizione, senza significati. Quanto banale il suo amore; con quale banalità sia partorito dall’odio. Impossibile, ad ogni modo, non chiamarlo col suo nome.


Jacopo Zambelli









7. L'importanza di (non) scegliere

La storia di Ernest è una storia di errori, di scelte mai compiute e di azioni difficili. Egli è una collezione di aspetti negativi, una...

Comments


bottom of page