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Francesco Colaneri

5. Martin Scorsese e la banalità del Male

Killers of the Flower Moon è noioso, perchè è già chiaro dove andrà a parare già dal decimo minuto”. È davvero così? Un confronto critico con gli altri film di Scorsese può fornire la risposta


Non poche persone si sono scagliate contro la durata impegnativa di Killers of the Flower Moon, l’ultimo film del Maestro Martin Scorsese, e tra le tante obiezioni mosse ce n’è una che ho ritenuto particolarmente significativa e che più o meno tutti nel grande pubblico avranno pensato almeno una volta: “il film è noioso perché è già chiaro dove andrà a parare già dal decimo minuto” (o almeno dal primo dialogo tra Ernest Burkhart, interpretato da Leonardo Di Caprio, e William Hale, interpretato da Robert De Niro). Nessuno, per quello che mi è parso di capire in generale, ha osato criticare la fattura del film dal punto di vista della resa estetica e della produzione meramente tecnica, bensì la lentezza apparentemente inesorabile di una trama che, per quanto ben costruita, per quanto riferita a un fatto reale e oscuro della storia degli Usa, risulterebbe scontata e carente sul piano dell’intrattenimento. Ciò che mi preme discutere in questo articolo non è tanto se queste critiche abbiano un fondo di verità (tema inevitabilmente connesso a un’evidente decisione da parte dei maggiori registi del nostro tempo di allungare la durata delle proprie pellicole nel periodo recente), ma approfondire la sensazione generale che la trama di Killers of the Flower Moon sia prevedibile. A tale scopo, mi rifarò ad altri film di Scorsese, specialmente quelli che hanno riscosso un maggior successo presso il grande pubblico, per vedere se è possibile riscontrare in questi lo stesso problema che è stato imputato a quest’ultimo.


Prendiamo ad esempio Goodfellas (1990). Sebbene vi siano grandi differenze di stile tra il primo e l’ultimo Scorsese, questo capolavoro del genere gangster movie non sembra così diverso da Killers of the Flower Moon dal punto di vista della struttura narrativa. L’ascesa, l’affermazione e la caduta del mafioso protagonista, interpretato da Ray Liotta, costituiscono il fil rouge degli eventi raccontati. Gli spettatori sanno fin dall’inizio delle intenzioni e del contesto del protagonista, e non è difficile farsi un’idea in anticipo di quello che succederà qualche scena dopo quella davanti a loro. Eppure, la storia è emozionante, il ritmo è veloce, le relazioni tra i personaggi sono coinvolgenti. Passando a un film più recente, consideriamo The Wolf of Wall Street (2013).


Qui il paragone con Killers of the Flower Moon è ancora più significativo perché l’attore protagonista è sempre Leonardo di Caprio, nonostante la differenza tra le due performances sia enorme: Jordan Belfort (di The Wolf of Wall Street ) è un personaggio intelligente, dal bell’aspetto, ed è dotato di grandi capacità manipolatorie; invece Ernest Burkhart è stupido, per nulla magnetico e facilmente manipolabile da parte dello zio. Tuttavia, anche qui, l’ossatura del film sembra simile, perché all’ascesa iniziale dell’ambizione di Belfort corrisponde poi l’intervento della giustizia, che ne causa l’inevitabile caduta. Anche qui, lo spettatore medio è rimasto catturato dalla descrizione fedele della vita frivola dei personaggi e dal ritmo della regia.


Secondo me, quello che rende assimilabili le tre pellicole è l’interesse da parte del regista di descrivere, nelle sue varie declinazioni, la “banalità del male”. Che sia una trama di gangsters, di brokers o di uomini di potere in generale, questa ha sempre un aspetto comune: farci vedere i personaggi principali immersi in un sistema collaudato di criminalità, disonestà e violenza, di cui essi sono complici, ma in un modo del tutto particolare. In un certo senso, non hanno una piena consapevolezza delle conseguenze che le loro azioni, senza dubbio marce nelle intenzioni, hanno sugli altri. Per esempio, Goodfellas è pieno di dialoghi che presentano un contesto di assoluta malignità e tossicità in un modo quasi leggero, banale appunto. Nelle prospettive di questi uomini, tutto è dovuto a loro. Non c’è spazio per la riflessione morale in un ambiente in cui il male è talmente normalizzato da non risultare problematico, finché se ne continua a ricavare privilegio, ricchezza e piacere.


Questo è evidente anche in The Wolf of Wall Street . Ovviamente, c’è molta malafede nell’atteggiamento dei personaggi, che sanno benissimo di aggirare il sistema legale per ottenere successo. Ma quante volte Belfort ha ingannato persone dall’altro lato del telefono senza preoccuparsi degli effetti dannosi delle sue truffe? Il punto è che questi uomini indossano delle lenti da cui il male prodotto dalle loro azioni è ridimensionato fino al punto da non vedere la propria responsabilità in esso. Può darsi che in Killers of the Flower Moon questo meccanismo sia stato descritto in maniera più evidente da Scorsese perché vi è quasi un’attenzione psicologica al momento in cui il protagonista non può più ignorare il male che indirettamente sta facendo alla moglie, da lui genuinamente amata. In quel momento, Scorsese tratteggia un uomo alla sua disperazione, diviso in due tra l’obbedienza a uno zio senza scrupoli e la consapevolezza degli esiti terribili di questa obbedienza, specialmente sulle persone amate.


In questo senso, Killers of the Flower Moon è atipico rispetto ai primi due, perché questa rappresentazione del protagonista non c’è prima; di solito non la morale, ma la giustizia pone fine al “sistema del male”, e con questo, alla vita criminale e privilegiata del protagonista. Tuttavia, aldilà di questa peculiarità, la banalità del male così descritta non solo è presente anche in questo film, ma appunto è resa palese proprio quando giunge al suo limite tollerabile.


Il motivo per cui ho parlato della banalità del male come un tema presente nei film citati è che a mio avviso è questa ad unire la loro struttura narrativa, e a renderla di conseguenza più “prevedibile”. Tutti noi possiamo aspettarci da Scorsese delle trame leggibili e quasi scontate nella loro conclusione, non tanto perché nell’ottica del regista “il crimine non la fa mai franca e la giustizia alla fine vince sempre”, ma perché la struttura di un inizio, un apice e una caduta del protagonista (e del sistema corrotto in cui è inserito) è richiesta dal modo in cui Scorsese vuole descrivere il male; un male scontato, come la prosecuzione della trama, perché i personaggi sono così ignari delle conseguenze delle loro azioni, che è possibile intuire come queste lascino tracce importanti per il loro futuro. Tracce che, come puntualmente accade, possono far cadere l’illusione della loro vita da sogno da un momento all’altro, attirando l’intervento delle istituzioni.

Non penso che la naturalezza con cui Scorsese presenta il male sia secondaria per l’intrattenimento che fornisce allo spettatore.


O almeno, Goodfellas e The Wolf of Wall Street devono molto del loro fascino proprio a questa disincantata rappresentazione dei personaggi e dei loro dialoghi, alla brutalità e alla disonestà mostrate nel modo più disinvolto. Secondo me, Killers of the Flower Moon non è diverso in questo; forse c’è più spazio dato al conflitto interiore del protagonista, ma c’è sempre la mano di Scorsese nel mostrare come una vita disonesta agli ordini di un criminale possa portare piacere (amore, in questo caso) e felicità per un certo periodo di tempo, e come questa debba poi fare i conti con le atrocità commesse. Se questo è vero, ritengo che le critiche fondate sulla percezione di una trama noiosa siano deboli; non tanto perché sono false (ci può assolutamente stare che la sensazione sia questa a partire da 3h 30m di banalità del male), ma perché non colgono il punto. Anche le opere precedenti di Scorsese mostrano una prevedibilità dei dialoghi, dei personaggi, dei loro intenti. Non per questo però hanno ricevuto le stesse critiche che hanno bersagliato Killers of the Flower Moon. E meno male, aggiungerei, perché sono tutte dei gioielli che affascinano gli spettatori per tutt’altro rispetto all’imprevedibilità della storia.


Penso allora che, se Killers of the Flower Moon è stato sofferto più degli altri, nonostante una struttura narrativa del tutto coerente con i film precedenti e una durata effettiva che non si discosta così tanto dai primi due (Goodfellas dura 2h 30m, mentre The Wolf of Wall Street 3h all’incirca), bisogna cercarne le ragioni altrove; qui ognuno può avere una sua interpretazione, ma la mia idea è che non siamo più abituati a film così lunghi e “seri” sul grande schermo. È per questo che il racconto, la regia, la brillantezza dei dialoghi tipici di Scorsese passano in secondo piano rispetto alla percezione di una lentezza che viene attribuita al film stesso. È giusto, allora, che l’impressione generale possa essere questa. Ciò che invece non è giusto è muovere, a partire da questo, una critica che si vuole oggettiva, collocando Killers sotto altri grandi film di Scorsese (come appunto Goodfellas e The Wolf of Wall Street).


Francesco Colaneri




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