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Emma Marinoni

Yorgos e le sue storie

Per la prima volta in Lanthimos sono i personaggi ad avere un ruolo di primo piano. Se nei film precedenti spesso è la situazione (assurda) in cui i personaggi si trovano a costringerli a comportarsi in un certo modo, in The Favourite le tre protagoniste sono personaggi dinamici e vivi: hanno una personalità che sembra esistere anche al di fuori di ciò che ci viene raccontato.



La produzione cinematografica di Yorgos Lanthimos è divisibile in diverse fasi, delimitate tra di loro sia da confini cronologici che stilistici e contenutistici. Innanzitutto abbiamo gli esordi, composti da un corpus di tre film, ovvero Kinetta(2005), Dogtooth (2009) e Alps (2011). A fare da ponte tra questo gruppo e il successivo abbiamo innanzitutto il premio per la miglior sceneggiatura ottenuto da Alps alla 68esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e, in parallelo, la popolarità non solo critica ma anche tra il pubblico di Dogtooth, il primo dei film di Lanthimos ad ottenere una distribuzione in America e nel Regno Unito.

Il successo permette al regista di lanciarsi in produzioni più dispendiose e al di fuori del proprio paese d’origine, con volti più noti (come Colin Farrell o Nicole Kidman), realizzando The Lobster (2015) e IThe Killing of the Sacred Deer (2017). A segnare la continuità con i film precedenti è sì lo stile ma soprattutto la sensazione di discomfort che ancora oggi consideriamo la caratteristica tipica di Lanthimos.

Cosa differenzia questi due film da The Favourite (2018) - e, successivamente, da Poor Things (2023)?  Lo stile di Lanthimos si evolve coerentemente con le sue opere precedenti, la sensazione di disagio permane nello spettatore - eppure, con visibili differenze. La Favorita è un film che Lanthimos si limita infatti a dirigere: con questo lungometraggio inizia la collaborazione con lo sceneggiatore Tony McNamara – che proseguirà anche nel film successivo – che rivede e sviluppa un progetto iniziale di Deborah Davis. The Favourite, per me, costituisce la prova lampante che Lanthimos dà del suo meglio quando aggiunge il suo proprio senso di disagio a storie scritte da altri. Per questo motivo, il film è in grado di collocarsi in una dimensione di continuità dal punto di vista dei topos preferiti dal regista, per facendolo seguendo modalità rappresentative e contenutistiche leggermente diverse - e, a mio parere, più riuscite.





The Favourite riesce ad inserirsi nella dimensione di realtà tanto tipica degli altri film di Lanthimos - ovvero non particolarmente distante dalla nostra ma al tempo stesso nettamente diversa - attraverso la scelta dello spazio e del tempo: trattandosi di un film in costume, si definisce chiaramente come estraneo alla nostra contemporaneità ma appare comunque basato su una realtà concreta. In più, la maggioranza del film è ambientata all’interno dello spazio della corte, la quale è sì verosimile ma anche rappresentativa di un livello di realtà non corrispondente a quello vissuto dalla maggior parte degli individui del tempo.

Anche la scelta dell’ambientazione in un luogo chiuso e delimitato si pone in netta continuità con le produzioni precedenti - basti pensare alla casa in cui è ambientato Dogtooth o all’hotel in cui si svolgono i fatti di The Lobster. In questo caso la corte, però, ha una funzione diversa da quella naturalmente assunta dagli ambienti in Lanthimos negli altri casi: anzi, a contraddistinguerla è proprio il non avere una funzione specifica se non di pura ambientazione. Nei lungometraggi precedenti gli ambienti invece contribuiscono più attivamente a creare le situazioni estreme in cui i protagonisti agiscono, talvolta prescrivendone il comportamento. Anche la corte ha delle regole, più o meno restrittive, che, almeno inizialmente, si impongono in particolare sul personaggio di Abigail (Emma Stone), ma che alla fine risultano relativamente indifferenti a tutti i personaggi.

Ciò mi porta alla differenza principale tra questo lungometraggio e i precedenti: potremmo definire The Favourite (e, in parallelo, Poor Things) come un character-driven film , in cui per la prima volta (almeno per Lanthimos) sono i personaggi ad avere un ruolo di primo piano. Infatti, nei film precedenti spesso è la situazione (assurda) in cui i personaggi si trovano a costringerli a comportarsi in un certo modo o ad eseguire determinate scelte - di conseguenza, la maggior parte di loro funge più da semplice agente della narrazione piuttosto che da carattere individuale. E’ anche per questo che, ad esempio, The Killing of the Sacred Deer, pur proponendosi di rappresentare la complessità delle dinamiche familiari, risulta un film completamente “vuoto”: nessun personaggio ha voce in capitolo, sono tutti al servizio della storia. Invece, le tre protagoniste di The Favourite sono personaggi dinamici e vivi, hanno una personalità che sembra esistere anche al di fuori di ciò che ci viene raccontato. Ciò non impedisce al regista di esplorare le dinamiche che più gli interessano: tuttavia, sono gli attori a mostrarci la complessità di esse, non è più solo la narrazione. La regia di Lanthimos, quando “alleggerita” dal compito della scrittura, risulta più forte e interessante - a beneficiarne è anche il rapporto con gli attori, le cui performance si collocano su un altro livello rispetto ai film precedenti.


Emma Marinoni

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